giovedì 23 febbraio 2012

"Make me a picture of the sun", i sogni di Carlot-ta






Carlot-ta, all'anagrafe Carlotta Sillano, è uno dei volti nuovi della canzone italiana. La ventunenne cantautrice di Vercelli ha raccolto molti consensi da parte della critica e del pubblico con il suo album d'esordio dal titolo "Make me a picture of the sun" (pubblicato lo scorso anno da "Anna The Granny Records"). Un lavoro raffinato, a tratti fiabesco e carico di suggestioni. Una strumentazione assai ricca (pianoforte, flauti, fisarmoniche, archi, percussioni) fa da cornice alle parole cantate da Carlot-ta prevalentemente in inglese e in francese. Parole conosciute, non nuove, perché Carlot-ta ha trovato ispirazione nelle poesie di grandi poeti della storia della letteratura occidentale: William Shakespeare, Emily Dickinson, Charles Baudelaire, William Blake, Jacques Prèvert e Thomas Stearns Eliot. Poesie e pensieri che hanno trovato nuova vita nelle canzoni che compongono l'album.
In questi mesi la cantautrice vercellese è impegnata in un lungo tour che ha toccato club, festival e piazze di tutta Italia. Sabato 25 febbraio Carlot-ta farà tappa a Spotorno (Sala Convegni Palace, ore 21. Ingresso libero) dove inaugurerà "Immaginaria 2012 - Winter Edition", rassegna musicale organizzata dal Comune in collaborazione con l'Associazione Le Muse Novae.
Anticipazioni, suggestioni e pensieri in questa intervista che Carlot-ta ci ha concesso con grande disponibilità e gentilezza.



Un solo album all'attivo e hai già sbancato il banco. Hai conquistato la "Targa Giovani M.E.I. 2011", il "Premio Ciampi" come miglior album di debutto, e sei stata protagonista al "Premio Tenco 2010". Mesi per te memorabili. Cosa dobbiamo aspettarci dal 2012?

«Quello che è successo finora è stato per me un'assoluta sorpresa. Quando ho iniziato a scrivere le canzoni che compongono "Make me a picture of the sun" nemmeno ci pensavo al fatto che sarebbero finite in un disco d'esordio. Non c'è stata molta progettualità da parte mia. Ho accettato la proposta della mia attuale etichetta, "Anna The Granny", anch'essa esordiente, e abbiamo cercato di fare al meglio il nostro rispettivo lavoro. Il modo in cui è stato accolto il disco è stato molto soddisfacente e inaspettato per me e per loro. Anche per il futuro credo ci lasceremo un po' guidare dagli eventi e dagli istinti, per il momento stiamo realizzando un singolo che uscirà a fine primavera e che anticiperà un secondo disco in uscita spero nel 2013. Nel frattempo sto strutturando un live con archi e percussioni che vorrei portare in giro nel periodo estivo».

Il tuo disco è curioso, se mi permetti l'aggettivo, e sicuramente fuori dagli schemi. Non per le atmosfere che si respirano, sempre coinvolgenti e positivamente spiazzanti, quanto per il fatto che canti poesie di autori spesso molti famosi in lingua inglese e, in alcuni episodi, in francese. Perché questa scelta?

«Parrà un'assurdità, ma non mi interessa molto l'aspetto testuale delle canzoni. Ascolto prevalentemente musica straniera e mi piace lasciarmi guidare dalle suggestioni musicali più che dai significati dettati dal linguaggio verbale. La scelta di cantare in lingue diverse dall'italiano e di prendere in prestito versi di poeti noti sono espedienti che mi consentono di istigare l'ascoltatore ad avere questo tipo di approccio alle mie canzoni. La voce diventa uno strumento e i significati sono dettati dai suoni».

Perché non hai scelto di cantare in italiano? Non pensi che per molti spettatori che assistono ai tuoi concerti sia difficile comprendere il tuo messaggio? Non ti preoccupa tutto ciò?

«Senza dubbio il messaggio trasmesso in questo modo necessita di una attenzione maggiore da parte dell'ascoltatore, ma non per questo è meno diretto o meno universale. Il linguaggio musicale è di per sé significante, credo che, semplicemente, la mia musica potrà comunicare a chi sarà disposto all'ascolto e troverà una consonanza con le suggestioni trasmesse e le immagini evocate».

Seguirai questa strada o nel tuo prossimo lavoro scopriremo una Carlot-ta cantautrice?
 

«È probabile che in futuro sarò io l'autrice dei miei testi ma continuerò a seguire questa "poetica" musicale, le canzoni che sto scrivendo sono sempre in inglese e francese e danno maggior rilievo al suono della parola piuttosto che al suo significato».

Nelle tue esibizioni sei solitamente da sola sul palco, il disco invece è molto più strutturato musicalmente. Qual è la vera dimensione di Carlot-ta?

«Sono due dimensioni complementari forse; il tempo passato in studio è stato molto divertente e la possibilità di lavorare su arrangiamenti, scelte timbriche e sui suoni in generale mi interessa molto. Per questo disco ho avuto la fortuna di collaborare con un arrangiatore palermitano, Gianluca Cangemi, che mi ha aiutata molto a dare una giusta forma e veste timbrica ai miei brani. Dal vivo invece le canzoni sono chiaramente spogliate di tutto questo e la comunicazione è totalmente diversa; non mi piacciono molto i concerti in cui la band suona "uguale al disco", preferisco un tipo di approccio diverso, più diretto e intimo. Come già detto, però, per l'estate sto preparando un live in cui sarò accompagnata da archi e percussioni per avvicinarmi di più alle sonorità del disco e per avere uno spettacolo con un maggior impatto sonoro da proporre in ambienti magari più ampi e aperti che poco si prestano a un concerto in solo. Nei club invece continuerò a suonare così. Mi piacerebbe che gli ascoltatori del disco (perlomeno quelli che lo hanno apprezzato) partecipassero a un concerto (e viceversa) per conoscere entrambe queste dimensioni».

La critica ti accosta a Tori Amos e Joanna Newsom. Ti ritrovi in questo accostamento?

«Sono due autrici che amo molto. I dischi di Tori Amos sono stati tra i miei principali ascolti in passato e sono stati fondamentali per la scoperta di un modo diverso di utilizzare il pianoforte nel pop. Joanna Newsom è, tra le uscite recenti, la cantautrice che forse ho più apprezzato per la sua ricerca su armonie, melodie, strutture. La sua musica è complessa e al contempo fruibile. Razionale e ben suonata ma emozionante, bizzarra e divertente».

Sei attualmente impegnata in una lunga serie di concerti in giro per l'Italia. Cosa ti sta dando dal punto di vista umano e musicale questo peregrinare?

«Mi diverte molto, vedo luoghi che non ho mai visto, conosco molte persone, suono le mie canzoni. Detto così pare un po' "morettiano" ma non potrei sperare di meglio».

Hai poco più di vent'anni e fai parte di quella generazione che non è cresciuta con il disco fisico, cd o vinile che sia. Cosa ne pensi della musica liquida e di internet. Per i giovani artisti è un canale utile per farsi conoscere, forse l'unico rimasto.

«Gianmaria Ciabattari, il mio produttore, ha conosciuto me e la mia musica tramite Myspace (che ai tempi era all'apice del suo successo) e Facebook è la modalità principale per promuovere quello che faccio. La rete ha inglobato le arti e ne è il principale punto d'accesso e di diffusione».

Compri i dischi oppure scarichi da internet la musica che ti piace?

«Acquisto quasi sempre i dischi che mi interessano, se li scarico tendo a perderli di vista e a non ascoltarli».

Sul tuo iPod cosa troviamo in questo periodo?

«St. Vincent, Joanna Newsom, Marissa Nadler, Panda Bear, Alasdair Roberts, e…Battiato».

Hai seguito il Festival di Sanremo? Cosa ne pensi tu che a Sanremo sullo stesso palco, ma in una occasione differente, hai raccolto tantissimi riconoscimenti da parte di pubblico e critica?

«Mi diverte tantissimo seguire il Festival di Sanremo, al di là di qualsiasi giudizio o polemica, trovo sia anacronistico, surreale e bellissimo. Se ne facessero due all'anno sarei davvero felice, dico sul serio. Non ho mai provato a partecipare a Sanremo Giovani ma se ce ne fosse la possibilità e mi facessero cantare quello che voglio non direi di no; è comunque una grande vetrina promozionale, con molti contro e molti pro».

Cosa vorresti che succedesse nei prossimi cinque anni?

«Che non si avverassero le profezie Maya in primis e che questa possa diventare la mia professione. E  moltissime altre cose».


Titolo: Make me a picture of the sun
Artista: Carlot-ta
Etichetta: Anna the granny Records
Anno di pubblicazione: 2011





martedì 14 febbraio 2012

"More music" per Massimiliano Rolff e Unit Five





Essere il leader di una band e nello stesso tempo esserne il contrabbassista non è compito agevole. Il contrabbassista occupa solitamente una posizione di secondo piano, più nascosta rispetto alla visuale del pubblico. Massimiliano Rolff, musicista di grande talento nato nel 1973 a Savona, ricopre invece alla perfezione questo doppio ruolo. Dopo essersi diplomato nel 1999 al Jazz Conservatory della città di Groningen nei Paesi Bassi in basso elettrico e didattica musicale, Rolff ha suonato in questi anni nei più prestigiosi club e festival negli Stati Uniti e nel Vecchio Continente. Gli Unit Five, attivi dal 2005, sono invece una delle band di riferimento del panorama jazz ligure. Nel 2006 il loro esordio discografico, con l'album "Unit Five", è stato salutato con ampi consensi da parte del pubblico e della critica. Sei anni dopo Massimiliano Rolff e Unit Five sono tornati in sala di registrazione per regalarci "More Music". Un album jazz di composizioni originali scritte dallo stesso Rolff.
Il pubblico savonese avrà l'occasione di ascoltare il disco nel concerto di presentazione che si terrà giovedì 16 febbraio al Filmstudio a Savona (inizio ore 21.30, ingresso 7 euro con tessera Arci). La serata, organizzata in collaborazione con il Circolo Raindogs, vedrà sul palco Rolff accompagnato dai suoi Unit Five: Luca Begonia (trombone), Stefano Riggi (sax tenore), Massimo Currò (chitarra), Paolo Franciscone (batteria).
Scopriamo come sarà il nuovo disco dalle parole di Massimiliano Rolff.

"More Music" è il terzo album a tuo nome se non si considera "Next Beat". Cosa dobbiamo attenderci dal disco?

«È un sincero disco di jazz. Senza trucchi e senza inganni: ci sono cinque musicisti nella stessa stanza che registrano per due volte le otto tracce presenti nel cd. Poi scelgono insieme le migliori. È bello sai, lavorare così. Ho scritto i brani contenuti in "More Music" con l'intenzione di regalare a chi lo ascolterà un'ora di musica brillante, scintillante... qualcosa su cui puoi battere il piede o schioccare le dita. Ci sono brani veloci su cui scivoliamo con assoli vertiginosi, dolci ballad su cui, a lume di candela, si può danzare in un caldo abbraccio, ci sono temi usciti da misteriosi film di spionaggio, songs che ci riportano a Broadway, tanto swing, molta organizzazione e soprattutto tanta perizia ed improvvisazione».

Quale è stato il percorso che ti ha portato a registrare questo nuovo disco?

«Se devo analizzare il risultato finale posso dire che la musica di "More Music" è scritta in una lingua molto ben definita. L'ispirazione al sound dell'epoca d'oro del jazz è chiara ed innegabile. Continuo a trovare molto interessante e stimolante ricercare idee personali ed un mio sound utilizzando un linguaggio così consolidato come quello del jazz degli anni '50, questa è la mission dell'idea legata al gruppo "Unit Five". La mia vocazione è quella di scrivere della musica che possa raggiungere con semplicità anche il più distratto degli ascoltatori, ma allo stesso tempo possa mettere a seria prova il musicista che la suona e soddisfare anche tutti coloro che ricercano nella musica elementi di tecnicità e complicatezze varie. Una specie di rompicapo al servizio della mia spontaneità e immaginazione. Il primo album "Unit Five" del 2006 fu un buon debutto. Oggi a sei anni di distanza e dopo decine di concerti insieme, questa band è cresciuta moltissimo e l'apporto dei nuovi entrati, il trombonista Luca Begonia e il batterista Paolo Franciscone, ha determinato un netto salto di qualità. Le idee che ho proposto alla band sono state colte nella loro interezza e nella loro naturale intenzione nel migliore dei modi»".

Da "Naked", registrato nel 2009 con Emanuele Cisi, Andrea Pozza ed Enzo Zirilli, a "More Music" sono passati poco più di due anni, cosa è cambiato?

«"Naked" e "Unit Five" sono i due progetti paralleli a cui ho dato vita in questi ultimi anni. Trovo che sia molto importante dedicare energie per dare continuità alle proprie idee. Essere giunti al secondo album con "Unit Five" è un grande risultato, soprattutto se si considera che nel mondo del jazz la tendenza a cambiare partners è praticamente la routine. Personalmente gli ultimi due anni sono stati molto intensi dal punto di vista concertistico, ho avuto la fortuna di suonare con molti musicisti americani che hanno fatto una buona parte della storia del jazz, vicino a loro non si può fare altro che imparare e crescere sia artisticamente che umanamente. Credo che questo si possa cogliere in trasparenza ascoltando "More Music"». 

Il tuo percorso musicale è costellato, appunto, di moltissime collaborazioni con artisti anche di grande spessore internazionale. Quale esperienza ricordi con più piacere e perché?

«Il bello della musica suonata è che ogni volta che vai a tenere un concerto ne risulta un evento indiscutibilmente unico, sia esso nel jazz club sotto casa o sia nel grande teatro in una capitale europea. Con il jazz poi è sempre diverso anche se suoni con gli stessi musicisti e questo è uno dei motivi che mi ha allontanato dallo sfavillante mondo della musica pop. Questo per dire, che ogni musicista, ogni palco e ogni audience può regalarti momenti speciali anche se non te lo aspetti, e questa è una grande fortuna! Di certo quando ti capita di condividere, palco, chilometri di viaggi in auto, soste in aeroporti, cene e attese varie in tour con personaggi come Herb Geller, Peter King o Phil Woods, che hanno abbondantemente superato i 50 anni di professionismo musicale, ti resta nel cuore qualcosa di speciale; in qualche modo hai la sensazione di far parte, magari anche solo per una piccola parte, del grande ingranaggio della storia della musica. Ti senti al posto giusto. Comunque una delle più belle esperienze musicali l'ho vissuta recentemente, lo scorso gennaio, suonando sul prestigioso palco del Sunset Sunside Jazz Club di Parigi con il sassofonista newyorkese Dave Schnitter. Ecco, lì hai la netta sensazione di essere vero, e con Dave l'impagabile sentimento di libertà musicale e fiducia. Bello no?».

Preferisci la vita da sideman o quella di fronte al tuo pubblico? Quali sono le diverse sensazioni?

«Beh, come sideman ho la fortuna di calcare alcuni dei più importanti palchi del mondo e di imparare sempre molto dai leaders dei vari gruppi, che resta uno degli obiettivi importanti della vita di un musicista. Leggo la loro musica, la imparo, mi calo nel loro sound e cerco sempre di portare acqua al mulino, di far funzionare la band, di essere puntuale agli appuntamenti e di non decidere troppe cose. È un atteggiamento più spensierato, il tuo impegno è quello di suonare bene e di aggiungere la tua anima all'idea di un altro. Talvolta, soprattutto all'inizio dei tour, ti domandi se ne sarai capace, se il leader sarà soddisfatto, un po' d'ansia che scompare presto. Come leader, è molto diverso. Intanto, bisogna prendere consapevolezza che tutto ciò che accade sul palco e fuori dal palco dipende sempre in qualche modo da te. Sei l'anima che ha dato il via a tutto quello che succede, a partire dal viaggio per arrivare al teatro fino all'ultima nota del concerto. Sei persino responsabile degli applausi a fine serata! Il tuo nome sui poster è il più grande e hai la grande fortuna di poter dialogare, comunicare e portare una tua precisa idea ad un ampio pubblico, che come contropartita è libero di giudicarti. È un gioco molto più grande ed importante, che spesso ti scava dentro alla ricerca della tua verità; è mettersi in gioco per davvero. Soprattutto se sei un contrabbassista, essere un leader deve essere proprio una scelta, o meglio, una necessità, in quanto di certo questo strumento non ti porta ad essere davanti o più in vista degli altri. Vedi, io adoro scrivere musica. Ne scrivo in continuazione, e quella precisa sensazione di: scrivo-creo-organizzo-suono è per me un'emergenza necessaria e costante»".

Come vedi il futuro della musica in Liguria?

«La realtà italiana nell'ambito della cultura è a un punto morto. In Liguria è forse ancora peggio.
La Liguria ha prodotto decine di musicisti straordinari, in ogni ambito musicale, e nessuno di loro è aiutato dignitosamente dalla comunità. L'industria musicale si è trasformata a totale svantaggio dei musicisti, e vabbè, diciamo che è un segno dei tempi, ma la musica dal vivo? Dove è finita la musica dal vivo? Tutti quei piccoli pub dell'entroterra ligure che facevano musica dal vivo, i palchi estivi sulle passeggiate a mare, i locali 'importanti' nei capoluoghi di provincia, le Pro Loco con le piccole rassegne, dove sono finiti? Perfino alle sagre non c'è quasi più musica dal vivo. Genova fa fatica ma Savona, Imperia e La Spezia sono trasparenti da questo punto di vista. Sai, per noi musicisti che siamo abituati a viaggiare, è un problema relativo perché andiamo a lavorare da un'altra parte, ma il problema resta per i liguri. La musica va vista e vissuta dal vivo, solo così potremo avere nuove generazioni di straordinari musicisti. Gli amministratori devono capire che sarà la cultura ad alimentare l'economia e non viceversa. Bisogna investire ed avere coraggio, la musica e la cultura non sono affatto aspetti secondari della nostra società. Il futuro musicale in Liguria non è sereno, ma potrà migliorare con lo sforzo di tutti. Il mio concerto al Filmstudio di Savona vuole essere un piccolo contributo a sostegno della musica nella nostra regione e nella città dove sono nato».



venerdì 10 febbraio 2012

I monologhi del cantautore varazzino Zibba



Debutta mercoledì 15 febbraio al Teatro Don Bosco a Varazze il nuovo spettacolo di Zibba dal titolo "Il rumore dei sogni - Corpo, Anima e Frattaglie" (ore 21). Il cantautore varazzino, vincitore del Premio Bindi 2011 e del concorso "L'artista che non c'era", tornerà così ad esibirsi nella sua città natale in uno spettacolo inedito che non lo vedrà al fianco dei suoi Almalibre, bensì dell'attore Alberto Onofrietti. I due artisti non sono nuovi a collaborazioni teatrali. Zibba e Onofrietti sono stati, infatti, fianco a fianco sul palco nel musical "All'ombra dell'ultimo sole".
Il nuovo spettacolo nasce dalla passione comune per la contaminazione tra le arti e dalla loro amicizia, consolidatasi fuori dal palco. In questa nuova avventura artistica Onofrietti reciterà monologhi, poesie e racconti scritti da Zibba. Una finestra sulla vita del cantautore varazzino, all'anagrafe Sergio Vallarino, fatta non solo di note e canzoni ma anche di esperienze e quotidianità.
È lo stesso Zibba in questa breve intervista a raccontarci il nuovo spettacolo e i progetti futuri.



"Il rumore dei sogni - Corpo, Anima e Frattaglie" insieme all'attore Alberto Onofrietti è un nuovo capitolo nella tua carriera. Cosa ci dobbiamo aspettare?

«Un paio d'ore di buoni motivi per venire a teatro mercoledì, ad esempio. Uno spettacolo nuovo, diverso da tutti i miei precedenti perché me ne sto sul palco e ascolto una voce forte e sicura recitare cose che ho scritto principalmente per me, come sfogo, e che ora lette in pubblico diventano per tutti. Conoscere Alberto mi ha regalato la voglia di mettermi in gioco con questa nuova cosa, e sono certo che chi conosce la mia musica troverà che sono sempre io, anche quando scrivo "non canzoni"».

Sei sempre sulla strada, on the road come direbbero dall'altra parte dell'oceano. La tua palestra di vita sono i locali, le piazze, i teatri e i palchi di tutta Italia. Un percorso in controtendenza rispetto a chi tenta di spiccare il volo partecipando a concorsi televisivi. Cosa ne pensi?

«Penso che ognuno debba decidere per sé che strada percorrere, e non giudico negativamente chi fa un percorso diverso dal mio. Credo solo che serva molto, a tutti, fare la gavetta. Servono i palchi piccoli, le sale vuote, la gente che non ti caga all'inizio. Serve misurarsi e mettersi in discussione ogni giorno. Serve a crescere ed esser pronti a tutto. La mia strada la adoro, e non la cambierei con null'altro. Conosco solo questo modo di fare musica, e credo sia sano nonostante tutto».

Hai suonato brani di Bob Marley in trio con Bunna degli Africa Unite e Raphael degli Eazy Skankers, sei stato in sala di registrazione con Tonino Carotone e recentemente con Tiromancino. Ti adatti alla perfezione a tutte le situazioni, però mi sembra che alla base di tutto ci sia il tuo personale divertimento, la voglia di suonare e regalare emozioni...

«Non è un vero e proprio adattarsi, piuttosto la chiamerei voglia di fare sempre cose nuove. Mi piace collaborare, mettermi alla prova e conoscere nuove persone con cui percorrere pezzi di strada. Con Raphael dura da molto tempo, con Bunna si è creata una bellissima amicizia e con tutti gli altri sempre e comunque collaborazioni che hanno dietro una buona dose di stima reciproca e rispetto. Il mio personale divertimento è alla base, hai ragione. Non posso farne a meno. Come cercare di portare in giro il mio piccolo messaggio, e vale qualunque mezzo».

Nonostante tutti gli impegni live so che stai registrando materiale per il tuo prossimo disco. Quando uscirà e cosa ci puoi dire su questo nuovo progetto?

«Uscirà a maggio e posso dirmi molto soddisfatto del lavoro che stiamo facendo. La band ha assunto nuovi elementi e abbiamo un sound, a mio avviso, molto completo. Sicuramente posso dire che non sarà un disco uguale al precedente, ci sono novità. Nuovi suoni. Nuove idee, per fortuna. Non vedo l'ora che venga pubblicato. È bello quando si fa un disco nuovo, per noi e per chi ci segue. C'è sempre attesa, anche se poi non cambia nulla in modo radicale, e quando ti arriva in mano la prima copia è davvero una grande soddisfazione».

Dopo aver partecipato al Premio Tenco, vinto il Premio Bindi 2011 e il concorso "L'artista che non c'era", aver convinto pubblico e critica con l'album "Una cura per il freddo", cosa ti aspetti dal 2012?

«Non mi aspetto nulla ma spero sia fortunato come gli anni appena trascorsi. Il disco del 2010 ci ha regalato tutte le soddisfazioni che volevamo, e anche qualcosa in più. Merito di uno staff vincente e di canzoni che sono entrate subito nel cuore delle persone e della critica. Mi auguro ci sia spazio per fare ancora tanto, anche se l'Italia sta attraversando un periodo tragico. Mi auguro che la gente abbia sempre voglia di musica, e da parte mia poter regalare a chi mi ascolta qualcosa di speciale con questo nuovo lavoro. Perché l'unica cosa importante è quando sai, perché te lo dicono e te lo fanno notare, che la tua musica scalda l'animo di qualcuno, ogni tanto. Questo è quello che conta».