mercoledì 25 aprile 2012

I blue-collar workers di Daniele Tenca






Con l'album "Blues for the working class" e il successivo "Live for the working class" Daniele Tenca ha conquistato il premio "Fuori dal Controllo 2012", riconoscimento ideato e ispirato da Marino Severini dei Gang. La motivazione dice molto sulla produzione del cantautore milanese. "Il riconoscimento è dovuto al percorso indipendente e coerente che ha portato Tenca a prestare la sua musica a un tema particolarmente attuale, quello del lavoro, della sua mancanza e della sua pericolosità, con uno dei dischi italiani più importanti degli ultimi anni". Un album quindi più che mai attuale. 
Tenca non è però un personaggio emergente della musica italiana come alcuni potrebbero pensare. Il quarantunenne artista lombardo ha intrapreso un percorso da solista dopo una decennale carriera come cantante dei Badlands, tribute band di Springsteen. Dopo l'album d'esordio "Guarda il sole" (2007), cantato in italiano, nel 2009 Tenca ha pubblicato "Blues for the working class", disco della svolta blues composto da dieci brani: otto inediti cantati in inglese e due cover, una è "Factory" di Bruce Springsteen e l'altra è "Eyes on the prize", realizzata con la collaborazione di Cesare Basile e Marino Severini. L'anno scorso il primo disco dal vivo, "Live for the working class", che ha ricevuto unanimi consensi da parte delle maggiori testate del settore. Un disco sanguigno che rende bene la forza e l'espressività delle composizioni di Tenca nonché la bravura della band che da un paio di anni lo accompagna in tour e in studio: Pablo Leoni alla batteria e alle percussioni, Luca Tonani al basso, Heggy Vezzano alla chitarra. Gli appassionati avranno l'occasione di ascoltare Daniele, accompagnato dal suo gruppo, a Spotorno in occasione della festività del Primo Maggio (ore 15, ingresso gratuito). 
A presentare l'evento è lo stesso Daniele in questa intervista. 


Ricordo di averti visto suonare un po' di anni fa al Ju-Bamboo a Savona con il tuo vecchio gruppo, i Badlands. Hai qualche ricordo di quella serata?

«Certo che me la ricordo! Credo fosse il 2002 o 2003 perché era appena uscito "The Rising" (album di Bruce Springsteen, ndr). Mi ricordo in particolare che appena sotto il palco c'erano due o tre ragazzini che avranno avuto quattordici anni massimo, che sapevano le canzoni a memoria e se la spassavano un sacco. Ci siamo divertiti molto anche noi».

L'esperienza con i Badlands è finita da un po' di anni. Quanto ha pesato per la tua carriera solista essere accostato a Springsteen?

«In realtà poco perché non lo vivo come un peso ma come un grande onore e una grande responsabilità. Il suo modo di fare musica rimane una guida per me. Certo, adesso facendo blues mi sembra strano ritrovare certi accostamenti, che magari rimangono più in primo piano nell'approccio o nelle tematiche più che nelle canzoni o nella musica, ma va benissimo così».

Sei in tour con una band formata da grandi musicisti che hanno accompagnano spesso Andy J Forest in Italia. Come è nata questa collaborazione?

«Il bello è che è la stessa band che ha inciso con me "Blues for the working class", quindi significa che abbiamo stabilito un legame importante se siamo ancora insieme sul palco dopo due anni circa, e non parlo solo di musica. Ci si conosceva già, io andavo a vederli quando suonavano con Andy. Heggy (Vezzano, ndr) aveva fatto con me il tour di "Guarda il sole". Ho fatto sentire loro il materiale e spiegato il progetto e hanno detto ok. Semplice, ma dietro ci sono tanta disponibilità e voglia di mettersi in gioco, e amore per la musica. Tra poco torneremo insieme in studio per il prossimo disco, e tutti non vediamo l'ora».

Dopo aver suonato per vent'anni rock hai cambiato direzione puntando sul blues. Lo hai fatto per tagliare definitivamente i ponti con il tuo passato artistico o perché è un genere che si adatta meglio alla tua musica e ai temi che affronti nelle tue canzoni?

«La seconda che hai detto. Anche se le contaminazioni con il rock e con il folk ci sono e si sentono, forse da lì arrivano anche i riferimenti di cui parlavamo prima. Il blues tiene comunque insieme il tutto. La scelta è di coerenza con le tematiche, e anche di un ritorno a un vecchio amore musicale».

Il problema del lavoro, le fabbriche che chiudono, le morti bianche. Sono temi sociali drammatici e molto attuali quelli su cui hai focalizzato la tua attenzione...

«Questa è e sarà la mia strada indipendentemente dalle logiche mainstream o dall'hype del momento. I tempi che stiamo vivendo hanno spinto anche altri artisti a puntare un po' più l'attenzione sui problemi sociali, anche se forse è gente che ha sempre parlato di certi temi. Mi vengono in mente i Gang o gli Afterhours, per esempio».

Cantare tutto questo in inglese non pensi che limiti la comprensione del tuo messaggio?

«Sicuramente, ma non sarei stato capace di essere credibile allo stesso modo scrivendo in italiano. È un mio limite o una mia caratteristica, a essere buoni, e ci faccio conto. Le traduzioni nel libretto del cd e le parole di introduzione a qualche canzone nei concerti cercano comunque di far capire di cosa si parla, sperando di far venire voglia a chi ci ascolta di approfondire».

Che significato ha per te suonare a Spotorno il Primo Maggio, festa dei lavoratori?

«Rendere omaggio a quelli che lavorano, a quelli che si fanno male o muoiono lavorando, e a quelli che vorrebbero lavorare e non trovano il posto dove farlo. È il motivo principale per cui abbiamo fatto questo disco, quindi non posso che essere onorato nel farlo. Però dico anche che, per noi, è Primo Maggio ogni volta che saliamo sul palco a cantare queste canzoni, dal 2010 e finché lo potremo fare, e sarebbe bello che lo fosse per tutti».

Nel 2011 hai rappresentato l'Italia all'International Blues Challenge di Memphis, un bel traguardo ma sicuramente anche un interessante punto di partenza. Cosa ti ha dato questo viaggio?

«Emozione, rispetto, adrenalina e anche un minimo di "strizza" di prendere qualche schiaffo dal punto di vista musicale dato che avremmo suonato dove tutto quello che suoniamo ha preso il via. Invece siamo tornati con un sacco di gratificazioni che ci hanno reso ancora più forti e consapevoli. Indimenticabile».

Quali sono i tuoi progetti futuri, hai già nuovo materiale pronto per il prossimo disco?

«Te lo anticipavo prima... credo che torneremo in studio dopo l'estate, siamo quasi pronti con i pezzi, e ne sentiamo davvero l'urgenza».

Da ex leader dei Badlands, la migliore tribute band di Springsteen, come giudichi "Wrecking Ball"?

«Intanto ti ringrazio di cuore anche a nome degli altri Badlands per i complimenti. "Wrecking Ball" mi sembra davvero un bel disco, nel quale Bruce per primo crede molto e lo si intuisce dalla quantità di brani che sta suonando nel tour. È soprattutto un tragico specchio dei tempi. A chi si lamenta di un certo "populismo" nei testi, dico che sarebbe anche ora che qualcun altro, magari con meno di 63 anni, si prendesse carico di parlare di certe tematiche, magari con la gioventù riesce a essere più incisivo...».

Vedrai qualche concerto di Springsteen quest'anno?

«Sì, ovviamente. Le date italiane e poi Oslo e Praga. Ti prego, non dire niente».

Allora non è detto che non ci si veda davanti al cancello di qualche stadio. A parte il disco di Bruce cosa stai ascoltando ultimamente?

«Ultimamente sto ascoltando molto soul».

 Hai qualche nome interessante da proporre?

«Per quanto riguarda le uscite recenti ti dico Black Keys, Wilco e Mark Lanegan, mentre Cooper, il fonico e amico con cui lavoriamo in studio, mi ha fatto scoprire The Dead Weather, uno dei side projects di Jack White, il cui primo disco contamina e sporca il blues in maniera interessante. In Italia, forse sono di parte ma vorrei segnalare "Ma-Moo Tones" di Francesco Piu, prodotto da Eric Bibb, disco al quale ho collaborato sui testi e, in parte, sulle musiche di sei brani».

Toglimi una curiosità, quale è stato il tuo ultimo concerto da spettatore?

«Paolo Bonfanti Band allo Spazio Teatro 89 a Milano, una settimana fa circa. Una garanzia. Non aggiungo altro perché non serve».



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