lunedì 18 marzo 2013

Mandolin' Brothers alla caccia del Folkest





Da oltre trent'anni i Mandolin' Brothers percorrono l'ampia strada della musica roots. Una strada dove si incontrano fantasmagoriche stazioni di servizio con luminose insegne che rimandano allo swamp rock della Louisiana, al Messico, agli ampi spazi della frontiera da cui nascono ballate polverose, alle radici del blues e ai profumi della pianura Padana. Decenni di musica vera, senza fronzoli e artifici, che hanno portato i Mandolin' Brothers a ritagliarsi uno spazio importante nella scena musicale, non solo italiana.
La storia del gruppo è iniziata nel 1979 quando Jimmy Ragazzon e Paolo Canevari hanno aperto con un set acustico country blues, il concerto della Treves Blues Band. Il passaggio a una formazione elettrica, con un orientamento più blues rock negli anni '80, e l'inserimento della fisarmonica, con una sterzata roots negli anni '90, hanno segnato due decenni di concerti che hanno fatto conoscere la band a un ampio pubblico di appassionati. Per ascoltare il primo album, dal titolo "For Real" (2001), si è però dovuto attendere il nuovo secolo e solo negli ultimi anni si è assistito a una produzione discografica più continua: "Still got dreams" (2008), "30 Lives!" (2009), e l'americano "Moon Road" (2010). 
L'attuale line up del gruppo (attivo anche con una formazione acustica ridotta) è composta da Jimmy Ragazzon (voce, armonica e chitarra), Paolo Canevari (chitarre), Marco Rovino (mandolino, chitarre e voce), Riccardo Maccabruni (fisarmonica, tastiere e voce), Joe Barreca (basso e contrabbasso), Daniele Negro (batteria e percussioni).
I Mandolin' Brothers saranno impegnati venerdì 22 marzo a Loano (sala consiliare, ore 21) in occasione delle selezioni nord-ovest di Folkest, prestigioso festival che tutti gli anni va in scena in Friuli-Venezia Giulia nel mese di luglio.
Con Jimmy Ragazzon abbiamo parlato di musica, storia, Woody Guthrie e anni '70.



I Mandolin' Brothers vengono considerati la prima band italiana di roots music. Cosa vi ha spinti ad approdare a questo genere, dopo essere partiti da una musica molto più blues oriented?

«Vorrei dire innanzitutto che noi non abbiamo mai abbandonato il blues, che è stato il nostro primo e più importante stimolo per iniziare a suonare. Poi nel corso degli anni, con l'avvicendarsi di vari membri nella band e l'introduzione della fisarmonica, strumento tipicamente italiano, ci siamo spostati verso un suono più roots, anche per fondere le varie tendenze e passioni di ognuno di noi. Amiamo e suoniamo musica fondamentalmente americana, ma siamo italiani, cosi come lo sono le nostre radici culturali. Quindi abbiamo cercato di fondere questi due aspetti e creare un nostro sound, senza però mai dimenticare le nostre origini blues».

I Mandolin' Brothers sono nati nel 1979 e in questi 34 anni avete pubblicato solo una manciata di dischi. Come mai siete stati così parchi nella produzione discografica?

«Non sempre si riesce a conciliare la quotidianità con l'impegno e la passione per la musica. Inoltre registrare un cd in maniera professionale costa soldi, tempo ed energia. Dopo il primo album, "For Real" del 2000, abbiamo avuto varie tribolazioni, cambi di formazione etc. e solo nel 2008 siamo riusciti a tornare in studio per registrare "Still Got Dreams", che ci ha dato tante soddisfazioni e una grossa spinta a continuare. Da qui il disco dal vivo "30 Lives!" per celebrare degnamente i primi 30 anni di carriera e poi il cd/dvd "Moon Road", con il quale abbiamo realizzato il sogno di registrare negli States».

Tu e Paolo Canevari rappresentate l'anima dei Mandolin', poi nel corso degli anni sono stati molti i musicisti che hanno contribuito a dare al gruppo l'attuale fisionomia, non solo umana ma anche artistica. Perché avete cambiato così spesso i vostri compagni di viaggio?

«I motivi sono vari. Problemi di studio, di lavoro, familiari, imprevisti e vicissitudini di ogni tipo. Non sempre è possibile mantenere una band stabile senza essere professionisti e quando si comincia a suonare con una certa frequenza i problemi si presentano puntuali. In fondo suonare in una band come la nostra comporta anche la scelta di un modo di vivere, che deve essere bilanciato con la vita e gli impegni di tutti i giorni. Spesso è difficile, ma con qualche sacrificio ce la si può fare».

Sbaglio o molti di voi hanno un lavoro regolare al di fuori della musica? Desumo quindi che in Italia non si possa vivere di sola musica...

«Posso rispondere solo per quanto ci riguarda e la risposta è no, almeno per ora. Tutti noi abbiamo un day job che, anche se talvolta è faticoso da sostenere, è anche un bene perché ci rende musicalmente indipendenti, nel senso che avendo un'entrata più o meno sicura, abbiamo potuto sempre e solo suonare quello che a noi piace, senza alcun compromesso di sorta per raggranellare qualche soldo in più per poter pagare l'affitto. È ovvio che, dopo un concerto lontano da casa, certe mattine sono piuttosto ardue, ma è la dura legge del blues…».

Qual è il vostro rapporto con la musica tradizionale italiana?

«Purtroppo negli ultimi anni seguo poco la musica tradizionale italiana, dato che il tempo libero è quasi tutto impegnato dalla band. Comunque in passato ho potuto apprezzare gruppi come La Nuova Compagnia Di Canto Popolare, Il Canzoniere Del Lazio, il Duo Di Piadena, Giovanna Marini, il rimpianto Ivan Della Mea, Paolo Ciarchi, Giovanna Daffini e tanti altri. Siamo sempre stati un paese di artisti apprezzati in tutto il mondo per la nostra arte tradizionale e dobbiamo andarne fieri, soprattutto in questi tempi di vuoto culturale, di indifferenza e superficialità».

Nel 2012 è stato celebrato il centenario della nascita di Woody Guthrie. Che insegnamenti vi ha trasmesso questo grande personaggio?

«L'importanza di Woody Guthrie è tuttora grande ed attualissima. I suoi insegnamenti sono arrivati a noi e li sta ancora trasmettendo alle nuove generazioni. Mai, come in questi ultimi anni, l'impegno sociale e la canzone di protesta e di denuncia sono necessari per informare, svegliare e stimolare la gente a scuotersi dal torpore che ci attanaglia. Ha ragione Steve Earle che, in un suo brano, chiede a Woody di ritornare perché avremmo ancora molto bisogno di lui e delle sue battaglie. Lo scorso anno abbiamo partecipato a "Nel mio cuore ti sento ancora cantare: tributo a Woody Guthrie" a Modena e al bellissimo "Better World Coming", il cd che gli amici Lowlands hanno dedicato a Woody rivisitando le sue canzoni, insieme a molti musicisti della scena roots, indie e blues italiana».

Perché avete scelto di registrare negli Stati Uniti il vostro ultimo disco?

«È stata semplicemente la realizzazione di un sogno, di un progetto in cui speravamo. Dopo aver partecipato all'International Blues Challenge 2010 a Memphis e suonato al B.B. King Blues Club, siamo volati ad Austin, in Texas, nello studio dell'amico musicista e produttore Merel Bregante, dove abbiamo registrato un mini cd di sei brani originali, con l'aiuto di artisti americani quali Cindy Cashdollar (Bob Dylan, Van Morrison, Dave Alvin, ecc.), Cody Braun (Reckless Kelly), Lynn Daniels (Willie Nelson) ed altri. Per ricordarci di tutta questa fantastica esperienza, abbiamo realizzato anche un dvd, con brani live, appunti ed immagini di viaggio».

Quanto è stato importante per i musicisti della vostra generazione vivere gli anni '70?

«Personalmente credo sia stato molto importante. La musica rock era al suo massimo splendore, uscivano in continuazione album capolavoro e c'erano molti eventi, mostre, film e concerti da vedere. Almeno fino alla disastrosa notte del Vigorelli a Milano, per il concerto di Led Zeppelin, che chiuse per diversi anni l'era dei grandi show in Italia. Io poi ho avuto la fortuna di poter andare spesso a Londra e, oltre ai concerti, di vedere posti gloriosi come il Marquee, il Rainbow, l'Hammersmith Odeon, la Nashville Room, The Roundhouse. Ma era tutta l'atmosfera veramente energica e creativa di quegli anni che, per un ragazzo appassionato di musica come me, era fantastica, stimolante e credo anche formativa per la mia cultura e storia personale. Da tutto questo la spinta ineluttabile ad essere sempre curiosi, ascoltare tantissima musica, leggere molto, viaggiare, imparare a suonare e formare una band».

Quali sono i vostri piani per i prossimi anni?

«Stiamo registrando il nuovo album che uscirà in autunno, con la produzione artistica di Jono Manson, musicista e produttore americano, che accompagneremo anche in alcuni concerti in giro per l'Italia. Poi continua la nostra attività live come band ed abbiamo la speranza di suonare nel Regno Unito nel prossimo autunno-inverno. È uno dei nostri numerosi sogni che intendiamo realizzare, dopo i tre brevi tour negli USA, insieme magari a un possibile album totalmente acustico. Vedremo come andrà, ma di sicuro non abbiamo nessuna intenzione di smettere. Per saperne di più, potete seguirci sul nostro sito: mandolinbrothersband.com».

Jimmy, un paio di anni fa hai registrato un bel disco con un altro grande della scena musicale italiana: Maurizio Gnola. Avete intenzione di dare un seguito a questo progetto?

«Al momento ci limitiamo ai concerti, sia per i vari impegni con le nostre rispettive band, sia per l'importante collaborazione di Maurizio con il cantautore Davide Van De Sfroos. Comunque non escludo che, prima o poi, ci possa essere un secondo album, stavolta anche con la preziosa partecipazione di Davide "Billa" Brambilla, fisarmonicista con De Sfroos e Ruggeri, e qualche altro special guest».

Infine, perché avete deciso di partecipare alle selezioni di Folkest?

«Perché e una manifestazione molto importante ed interessante, non commerciale, che propone cultura, dibattiti, occasioni di incontro e soprattutto musica vera, suonata da musicisti appassionati che credono in quello che fanno, cosi come coloro che ogni anno organizzano uno dei festival musicali più belli d'Italia. Ci siamo stati come pubblico, qualcuno di noi ci ha già suonato, ma ci terremmo veramente molto a partecipare come band, per aggiungere un altro capitolo importante alla nostra storia».





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