mercoledì 28 agosto 2013

L'esordio di Marrone Quando Fugge






Un titolo scanzonato, "Il Pre-Fagiolismo", un nome curioso, Marrone Quando Fugge. A dare vita a questo curioso connubio di parole è stato il trentenne cantautore astigiano Massimo Lepre, nome d'arte Marrone Quando Fugge, che ha pubblicato il suo album d'esordio intitolato, appunto, "Il Pre-Fagiolismo". Un lavoro discografico che è stato bene accolto dalla critica e che ha permesso all'autore di vincere il premio "L'artista che non c'era". Il disco contiene nove canzoni che raccontano un mondo in cui i valori sono quelli più veri e importanti, in contrapposizione a quelli imposti dalla società consumistica di oggi. Un disco sincero, un inno alla povertà ma allo stesso tempo musicalmente ricco di vibrazioni positive e di idee, che vengono espresse da questo cantautore emergente, voglioso di cambiare rotta dopo anni di gavetta in diversi gruppi. Decisivo è stato l'incontro con Zibba che ha prodotto il disco e successivamente con Stefano Cecchi che lo ha registrato. Marrone Quando Fugge nel disco è stato accompagnato da Simone Fratini al contrabbasso, Sauro Ferraris alla chitarra e Alberto Silengo alla batteria.
Di "Pre-Fagiolismo" abbiamo parlato con Marrone Quando Fugge.




Prima di tutto devi spiegarci perché ti fai chiamare Marrone Quando Fugge...

"Un colore, Marrone, il colore delle radici e della casa protetta del cuore e del corpo. Un verbo, Fuggire, che contiene nel suo interno il potere creatore del significato che esprime. Un avverbio, Quando, che evidenzia la condizione di essere ancora più radice nel momento della distanza. Quell'uomo nato e legato alla terra, alla pancia e all'ombelico di chi l'ha creato e che svela il respiro primordiale del senso mistico di una nascita continua. Un essere cresciuto all'ascolto del mondo e dei suoi fatti così da rendere note musicali ogni parola ed ogni respiro. E per questo vedo un uomo che fugge, non per sfuggire, ma per conoscere nel profondo le carte che il mondo mette a disposizione con la consapevolezza della propria storia. L'uomo Marrone che è legato alla madre e alla terra ancora di più Quando Fugge, andando per il mondo e portando con sé la memoria di casa".

Nelle scorse settimane è stato pubblicato il tuo primo disco dopo tanti anni di gavetta. Quando e perché hai preso questa decisione?

"In realtà, la spinta grandiosa è stata di Zibba, che una volta scoperti i miei pezzi tra le mura di casa mia nell'inverno di due anni fa, ha deciso di prendere le redini della mia situazione, decidendo di produrre il mio primo disco. Fosse stato per me, sarebbe rimasto tutto nel cassetto perché non godo di una autostima spiccata, non credevo di poter rendere i miei sfoghi, paure, difetti e intimità alla portata di un pubblico ma mi sono fidato di qualcuno che ha creduto in me e il disco ha iniziato a concretizzarsi. Una pre-produzione con fermento, una produzione indimenticabile che inizia a febbraio e una post-produzione attenta. Sono felice".

Sei entrato a far parte della grande famiglia allargata degli Almalibre visto che Zibba ha prodotto artisticamente il disco e Stefano Cecchi ne ha curato la registrazione. Ci racconti come è successo?

"Io e Zibba eravamo al "Fagiolo", la casa nel bosco raccontata nel suo brano "Asti-Est", scritta proprio lì, in quelle sere d'inverno dove la miglior cosa per curarsi dal freddo era scrivere in compagnia, mangiando, bevendo e suonando. Stavo strimpellando la chitarra accennando il giro di accordi di "Un Principio di Alzheimer", fu piacevolmente colpito da chiedermi cosa stavo suonando e quando gli svelai che era un mio brano, fu doppiamente colpito perché non sapeva che scrivevo e suonavo musiche mie. Da quella sera, nella testa di Zibba qualcosa è rimasto delle mie parole, tanto da decidere di seguire da lontano i miei progressi fino al giorno in cui mi presentò Stefano Cecchi come il fonico del mio disco, per annunciarmi della loro scelta di produzione, per mettere in piedi il mio primo disco. Tutto inaspettato, sono esploso di gioia e paura".

Ti ricordi qualche aneddoto del tuo rapporto con Zibba?

"Eravamo a Genova per le registrazioni del pianoforte, quando ho visto lo studio, mi sono chiesto se era vero. Mi ha dato la possibilità di suonare un pianoforte magnifico, dove ogni vibrazione era una galassia profondissima, le mie dita da cuoco hanno iniziato a sudare così tanto che sembrava piangessero. Con molti silenzi e poche parole mi è stato vicino come un fratello".

Da dove nascono le canzoni del disco?

"Imprevisti, molti puntini, fissi e di sospensione. Il caso delle coincidenze, il cuore, un po' di lacrime. Incontri, appuntamenti. Una atmosfera creata dallo stare. Il presente. Essere veri nel quotidiano. Essere belli quando si è veri. Spogliarsi di ogni maschera finta. Tutto questo tra cavoli, fagioli e accordi da imparare".

Perché il titolo "Il Pre-Fagiolismo"?

"Il Pre-Fagiolismo è un nome che definisce uno stile di vita, sicuramente auto-biografico, basato sulle piccole cose, sull'abbandono delle ricchezze che ci sono state insegnate, per trovare nella povertà i valori veri che tutti vorremmo avere tra le mani. Una rivalutazione sulla comprensione di quanto siamo meravigliosi semplicemente essendo noi stessi".

L'album ha ricevuto ottimi consensi vincendo anche il premio "L'artista che non c'era". Ti aspettavi un esordio così soddisfacente?

"Assolutamente no, il mio essere distruttivo purtroppo o per fortuna non mi permette di avere certe aspettative ma nulla toglie al massimo impegno che metto in ogni cosa che faccio".

Il disco inizia con "Miseria stabile, ricchezza mobile", un titolo che riassume un certo disagio nei confronti della società attuale. Cosa ci puoi dire a riguardo?

"Una situazione attuale che fatica a cambiare da molto tempo. L'ispirazione di questo pezzo parte con la scoperta di una banconota del 1870 creata da una banda di falsari. L'intestazione era "Banca della ricchezza mobile nel Regno della miseria stabile", che sarà pagato con "Visto del Monte di Pietà in vino". Iniziai a scrivere sulle dinamiche di vita attuali per arrivare alla conclusione che tutto sarebbe più semplice se la verità facesse parte della nostra vita".

Discorso che viene poi ripreso da "La discarica di anime", una sorta di ribellione contro la società consumistica. E' un disco di denuncia o una presa di coscienza?

"La denuncia la lascio alle autorità. La presa di coscienza è un inizio alla verità. Guardiamoci dentro e intorno, quanto vogliamo raccontarcela ancora?".

La canzone "Modestino" è dedicata a tuo nonno. Ce ne parli?

"Un folle raccatta ferro, piccoletto ma fortissimo, con due mani che spaventavano a metri di distanza. Una vita passata tra povertà, famiglia numerosissima, alcool, botte e cicatrici. Colui che quando mi veniva a prendere alla scuola elementare, invece di portarmi a mangiare un gelato mi offriva la sua birra da furgone. Se qualcuno che a pelle non gli piaceva gli chiedeva un accendino, rischiava di trovarsi in bocca a tradimento uno spagnolino (peperoncino piccantissimo), che aveva sempre nel taschino dei pantaloni... Un personaggio unico nel suo stile, la legge non esisteva se non la sua".

Quali sono gli artisti con cui hai un debito, di ispirazione o di formazione?

"Non sono amante della parola "debito", ma comunque ringrazio tutte le persone che mi sono state vicino e che mi hanno passato qualcosa. Andrea Anania che ha suonato in "Cenere e Whiskey", è l'amico artista che mi ha avvicinato agli strumenti con gran sentimento, lo ringrazierò a vita. Nico, fondatore de "La cattiva strada" mi ha dato modo di credere in letture alternative alla vita, un maestro per molti. Zibba e Stefano Cecchi, i miei fedeli compagni in questa meravigliosa esperienza".

Cosa ti aspetti dalla tua carriera musicale?

"Continuare ad avere la possibilità di esprimere quello che penso. Secondo voi, è possibile? Un caloroso abbraccio a tutti i lettori".


Titolo: Il Pre-Fagiolismo
Autore: Marrone Quando Fugge
Etichetta: Volume
Anno di produzione: 2013




lunedì 19 agosto 2013

Un savonese guida i Kafka on the Shore





Si chiama Vincenzo Parisi ed è la faccia italiana dei Kafka on the Shore, band emergente che a inizio 2013 ha dato alle stampe l'ottimo album "Beautiful but empty", pubblicato dall'etichetta indipendente La Fabbrica. Diplomato in pianoforte, il musicista savonese di origini siciliane ha abbandonato ben presto la musica classica da conservatorio per mettere il proprio pianoforte al servizio del rock'n'roll. Il passo decisivo si è compiuto a Milano dove Parisi ha conosciuto, uno dopo l'altro, quelli che sono gli attuali componenti del gruppo: il cantante americano dalla voce blues Elliot Schmidt, l'impeccabile batterista tedesco Daniel Winkler e l'imprevedibile e talentuoso chitarrista Freddy Lobster.
"Beautiful but empty" è un disco che mette in mostra cuore e muscoli e non lascia indifferenti. Undici canzoni che mischiano generi e suoni passando con estrema facilità dal blues al soul, con incursioni nel rock più duro. Uno dei brani più riuscito del disco è "Bob Dylan", una ballata emozionante costruita sul suono del pianoforte e su ipnotici giri di chitarra. Altro brano importante è "Venus" che è arricchito dalla voce di Chiara Castello dei 2Pigeons. Il disco resta sempre su ottimi livelli ed è vivamente consigliato l'ascolto. 
Abbiamo incontrato Vincenzo e abbiamo parlato dei Kafka on the Shore, di "Beatiful but empty" e tanto altro.


Come nasce il nome Kafka on the Shore?

"Siamo grandi appassionati di Murakami Haruki. E poi il suo stile narrativo ci sembrava aderente alla musica che avevamo in mente di scrivere. Oltre a "Kafka On The Shore", Murakami ha scritto altri romanzi stupendi, ma non pensavamo fosse il caso di prendere a prestito titoli come "Nel segno della pecora" oppure, pensa te, "L'uccello che girava le viti del mondo"".

La vostra è una band internazionale composta da un italiano, un americano e due tedeschi. Come si vive questa multiculturalità?

"A livello creativo, è un bel miscuglio di influenze, anche musicali. A livello umano, ci si diverte. A parte i casi in cui esce fuori il tedesco, che è una lingua che conosco a malapena. Ma qualche parola la sto imparando con il tempo".

Quando e quali sono stati i motivi del tuo ingresso in questo gruppo?

"Ho conosciuto Elliot, il fratello della mia ex-ragazza, e a fine 2010 abbiamo deciso insieme di dare il via al progetto, prima solo noi due in una squallida cameretta a Milano, chitarra voce e piano, con l'intenzione, poi totalmente rinnegata, di scrivere pezzi soffici e carucci come quelli dei Belle and Sebastian. Quasi subito è entrato Daniel alla batteria, e un anno dopo Fred come chitarrista e seconda voce".

Una parte della tua giovinezza l'hai passata in Liguria, ad Albisola. Quali sono i tuoi ricordi più belli?

"A dire il vero, ogni volta che posso torno ad Albisola, dove vivono la mia famiglia e i miei migliori amici. Savona più in generale rappresenta il mio luogo di formazione. Le prime lezioni di pianoforte col mago Gentile, che mi ha trasmesso grande passione. Gli anni passati a suonare Morricone e tanta altra musica da film nell'Orchestra Giovanile del Finale diretta da Paolo Venturino. E poi le geniali lezioni di storia della musica ed analisi con Fernando Vincenzi. Il Liceo Classico Chiabrera, dove ho avuto la fortuna di incrociare professori eccezionali e ho potuto sperimentare le prime composizioni grazie all'ensemble di musica diretto da Daniela Piazza e Fulvio Bianchi. Devo molto a Savona, indubbiamente".

A livello artistico ti sei dovuto adattare a un cambiamento di genere. Sei passato dal pianoforte classico, quello da Conservatorio, al rock. Perché hai cambiato in modo così radicale?

"C'è da dire che io ho frequentato le aule del Conservatorio solo durante i miei studi di composizione a Milano. Ho studiato pianoforte in casa di Irene Schiavetta, con la quale mi sono diplomato e che, da grande didatta quale è - le sue pubblicazioni per la Carisch ne sono una prova -, mi ha sempre spinto alla più ampia apertura artistica. E poi Chopin e Rachmaninov sono molto più rock'n'roll di quanto non si pensi. In origine, pensavo semplicemente di fare rock per travasarne le influenze nelle mie composizioni per ensemble da camera e pianoforte solo - lavori che comunque riprenderò in mano un giorno -, ma praticamente da subito mi resi conto che era troppo divertente scrivere canzoni e vedere come si sarebbe evoluto il mio "pianismo" trasferito in un mondo apparentemente così lontano. E così ho portato la mia scommessa ad un livello successivo".

"Beautiful but empty" è il vostro primo album e XL di Repubblica ha da poco pubblicato online il vostro video "Bob Dylan". Un periodo fortunato per voi…

"Decisamente fortunato. In soli cinque mesi dall'uscita del disco, i concerti ad oggi programmati sono più di sessanta e le recensioni sono davvero positive. A luglio abbiamo avuto l'onore di suonare al fianco dei Marta sui Tubi, è stata una grande occasione per noi per arrivare a un pubblico ancora più ampio. In ogni caso, senza presunzione, ce l'aspettavamo. Certo dobbiamo molto anche alla nostra etichetta, La Fabbrica, di Bologna, che ci supporta e investe molte energie su di noi. E comunque non ci accontentiamo, siamo solo all'inizio".

Di cosa parla la canzone "Bob Dylan"?

"Credo che la musica si debba spiegare da sé e che ogni ascoltatore debba trovare la propria risposta a questa domanda. Quello che posso dire è che è una canzone che parla di un ragazzo che cammina nella notte in una grande città e ripete ossessivamente "I don't feel a thing". Un ritratto dei tempi che viviamo?".

Qual è l'asse portante del disco?

"La contraddizione. Il gusto di giocare con elementi musicali contrapposti fregandocene allegramente di inseguire un'etichettatura univoca come troppe band di oggi fanno. Ci siamo inventati noi stessi, il nostro genere musicale, Pirate Mexican Porn Rock, che può significare tutto e niente, così nessuno può incasellare a suo uso e consumo quello che facciamo".

Siete stati impegnati in questi mesi anche in lungo tour europeo che vi ha portato a suonare nei club di Berlino e Parigi. Cosa ti ha lasciato emotivamente e professionalmente questa esperienza?

"Abbiamo chiuso questo primo tour europeo in un locale legato all'Haldern Pop Festival, dove hanno suonato band come i Muse, i Franz Ferdinand, i Phoenix, i Mumford and Sons.... Insomma, qualcosa di importante. Prima ancora abbiamo suonato a Londra, Parigi, Bruxelles, Lubecca e Berlino. E' stato per noi un grande passo, un primo passo per farci conoscere anche all'estero. E il pubblico ha reagito alla grande, in locali bellissimi con cui abbiamo allacciato legami importanti per il futuro prossimo, oltre ad aver conosciuto una miriade di persone davvero fantastiche, aver mangiato cinquecento kebab, aver visto il sole sorgere sulla spianata di Waterloo circondati da cento turisti messicani".

Recentemente siete tornati a suonare al Beer Room di Pontinvrea, locale che in qualche modo vi ha lanciato e che vi ha fatto conoscere al pubblico savonese. Quali sono i tuoi ricordi di quelle prime esibizioni?

"Il Beer Room è un luogo speciale per me, un locale che porta grande fortuna. Tre anni fa avevamo fatto un concerto io e Nicolò Carnesi, di fronte a cinque persone e una tempesta di neve là fuori in mezzo ai cinghiali: grandi emozioni. Un anno e mezzo dopo uscì il suo primo disco e tutto il successo che ne seguì per il mio amico Nicolò. Con i Kafka abbiamo fatto non so più quanti concerti l'anno scorso al Beer Room, tra quelle mura che ti portano per forza di cose a rendere ancora più duro e rockeggiante il suono. Tra i momenti più belli, un post concerto, noi a suonare in acustico solo per pochi intimi e un francese che si improvvisa ballerino per la strada. Grandi capolavori senza tempo".

Mi pare di capire che i Kafka on the Shore siano una band che non cerca facili vetrine (leggi talent show televisivi) ma cerca il proprio spazio attraverso concerti ed esibizioni live. E' così oppure se venisse una chiamata accettereste l'invito?

"Parliamo di due mondi musicali diversi. Quello che facciamo noi è ben lontano dai canoni di Amici o X Factor. E di conseguenza non vedo che utilità ne potremmo ricavare. Dopodiché, chi è lo stupido che rifiuterebbe tanta visibilità, nel caso ci fosse un talent show sulle aspiranti star legate alla scena intergalattica del Pirate Mexican Porn Rock? Non sono contrario al format in sé. Altro discorso è invece la qualità artistica proveniente da tali programmi. Annalisa Scarrone, per esempio, trovo abbia una voce spettacolare ed una tecnica vocale altissima. Mentre ho trovato agghiacciante il tizio che ha vinto l'ultimo Sanremo Giovani, Antonio Di Maggio, uscito da X Factor qualche anno fa".

Quali sono i progetti per il futuro prossimo, facciamo due anni?

"Suonare il più possibile, portando la musica dei Kafka On The Shore a più persone possibili, in Italia e all'estero. Un tour negli Stati Uniti. Preparare il secondo disco".


Titolo: Beautiful but empty
Gruppo: Kafka on the Shore
Etichetta: La Fabbrica
Anno di pubblicazione: 2013





giovedì 8 agosto 2013

Chiara Jerì, la calda voce di "Mezzanota"





Una chitarra magistralmente suonata da Andrea Barsali e la voce ricca di malinconia di Chiara Jerì, così lontana dai format musicali televisivi, hanno dato vita a "Mezzanota", disco autoprodotto, dal sapore antico, lontano dai riflettori ma di grande bellezza e da custodire gelosamente. La cantante livornese alle sue spalle ha un disco solista, "Mobile identità", e il successo ex aequo al concorso "Un Notturno Per Faber" indetto dalla Fondazione De Andrè, con il brano "Notturno dalle parole scomposte" di cui è autrice insieme ad Eugenio Cavallo e Maurizio di Tollo. Quest'ultimo ha dato un decisivo contributo a "Mezzanota" scrivendo le musiche mentre il pisano Andrea Barsali, già turnista di Andrea Bocelli, ha curato gli arrangiamenti.
Uno dei punti artisticamente più alti del disco è rappresentato dalla canzone "Innesco e sparo", ispirata a un avvenimento realmente accaduto, ovvero l’esecuzione mafiosa di Giannino Losardo (21 giugno 1980) all’epoca dei fatti sindaco di Cetraro e che ricorda il coraggio e lo sdegno di una terra, la Calabria, a cui la Jerì è profondamente legata. Jerì-Barsali danno anche una personale lettura di canzoni di De Gregori, Piero Ciampi e Pippo Pollina.
Abbiamo parlato con Chiara Jerì di "Mezzanota" e del suo rapporto con la scuola cantautorale.




Il progetto "Mezzanota" ti vede in coppia con Andrea Barsali. Come è nato questo sodalizio?

"Dopo poco più di due anni, mi piace riconoscere ad alta voce che così doveva essere. Nell’atto concreto, come spesso abbiamo detto Andrea ed io, è stato un amico comune che ci ha messo in contatto, immaginandosi le nostre sensibilità musicali ben amalgamate. Di fatto ha avuto ragione".

Quando e cosa vi ha spinti a produrre questo disco?

"Andrea ed io abbiamo impiegato più tempo a studiarci prima di decidere di suonare insieme. E aggiungo, nel modo più divertente, naturale e senza maschere: sentendolo suonare quanto più potevo e ovunque potessi e lui, forse, ha sentito come lo facevo. Dopo questa fase ingenuamente utile, non abbiamo bruciato le tappe ma abbiamo avuto una facilità immediata, sia nel preparare il nostro primo live che, una volta proposti i miei pezzi al suo suono, a inciderli solo voce e chitarra".

Sei nata come interprete, poi il salto in avanti e la voglia di esprimere le tue emozioni scrivendo i testi. Com’è andata?

"Se devo essere onesta non lo so. Da sola ho sempre scritto come ho sempre cantato. Il primo passo, non semplice, è stato quello di salire su un palco, quello successivo, altrettanto difficile, far leggere ciò che scrivo. Unendo parole a note, nascono le canzoni; così sono nate anche le mie. Posso provare ad aggiungere solo che, tutto questo, per me, è una "cattiva abitudine" per la ricerca della felicità".

Le musiche sono invece tutte di Maurizio di Tollo. Come vi siete incontrati?

"Su un treno, andavamo entrambi a Genova. Dopo sei anni ci siamo salutati su un binario della stessa città. I nostri "bagagli a mano" pesavano un po’ di più".

Nel disco hai presenti due canzoni non tue: "La donna cannone" di De Gregori e "Fino all'ultimo minuto" di Piero Ciampi. Cosa rappresentano e quale è il tuo rapporto con De Gregori, Ciampi e la scuola cantautorale italiana?

"Se ti parlo della "Donna Cannone", di "Fino all’ultimo minuto" e "Canzone II", vorrei farlo, raccontandoti della gioia che mi regalano tutte le volte che le ascolto e le canto. La bravura e la fantasia di Andrea Barsali nell’averle dipinte per noi così, mi ha dato la possibilità di tornare a un grande amore, rivivere dentro un capolavoro e dargli tutto, ma cercando di evitare sempre il superfluo. La canzone d’autore? Non potrei vivere senza".

E poi una canzone di Pippo Pollina, cantautore poco conosciuto dal pubblico italiano…

"Dissento cortesemente. Pippo Pollina è un cantautore contemporaneo affermato; penso anche che lo sia nella dimensione e nei luoghi che lui predilige, che lo fanno sentire bene, con cosa fa e per chi lo fa. Ahimè l’oltre confine per la musica ha ancora tanto da insegnarci. La sua "Canzone II" è e rimarrà un capolavoro sempre e ovunque".

Nell'album troviamo anche "Il notturno dalle parole scomposte", canzone che vinse nel 2009 il concorso musicale "Un notturno per Faber" organizzato a Genova dalla Fondazione De André. Chi è per te Faber e perché non hai cantato una sua canzone in "Mezzanota"?

"Fabrizio De André. Tutte le volte che pronuncio o scrivo questo nome, tutto è il contrario di tutto: ne sento la grandezza e al tempo stesso, come da piccola - non con tutto ciò che ha scritto ma con quello che di lui ho scelto - sono cresciuta ed invecchio. Mi volto, oggi come allora, e lui gioca ancora con me. Non c’è un pezzo di Faber in "Mezzanota" perché c’è un canzone per Faber".

A quale tipo di pubblico è indirizzato il vostro album?

"A tutti coloro che desiderano "un instante in cui l’intenzione diventa musica"".

Perché il titolo "Mezzanota"?

"Potrebbe chiamarsi diversamente?".

Curiosa la copertina dell'album con una mela rossa divisa a metà. Mela che viene poi da voi addentata in un'altra foto che compare nel libretto. Che significato ha questa mela?

"Voglio ringraziarti perché, pur in forma di domanda, hai reso una descrizione molto "sensoriale" della copertina di "Mezzanota". Ecco, direi che di quella mela non si debba svelare un solo perché, ne ha tanti quanti sono gli occhi che ci impattano contro. La fantasia è un desiderio libero".

In queste settimane siete impegnati in tour. Oltre ai brani dell'ultimo disco cosa presentate dal vivo?

"In un nostro concerto oltre a tutti i pezzi di "Mezzanota", non potrebbe mai mancare ciò da cui ho iniziato e che è stato anche l’inizio della collaborazione live con Andrea. Portare i brani di "Mobile identità", il mio primo lavoro, con un vestito ormai Jerì-Barsali è una cosa che mi diverte sempre. Poi ogni sera è un "rac-canto" e qualche volta abbiamo voglia di una favola nuova. Venite a sentirci!".

Se avessi la possibilità di salvare dalla distruzione cinque dischi, quali sarebbero?

"Troppo pochi forse non abbandonerei la nave".

Infine vorrei sottoporti alle dieci domande secche:

- Anteriore o posteriore? Posteriore.
- Treno o vaporetto? Treno.
- Telefoni cellulari o cabine telefoniche a gettoni? Cellulare.
- Gelato alla crema o ghiacciolo? Gelato alla crema.
- Minotauro o unicorno? Unicorno.
- Angelo Barile o Eugenio Montale? Montale.
- Narciso o papavero? Papavero.
- "Totò d'Arabia" o "I quattro dell'Ave Maria"? “Totò d’Arabia”.
- Numeri o lettere? Lettere.
- Cima alla genovese o agnolotti al plin? Cima.


Titolo: Mezzanota
Artisti: Chiara Jerì e Andrea Barsali
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2013