lunedì 28 ottobre 2013

La disincantata maturità artistica di Augusto Forin

 
Augusto Forin




Il nome di Augusto Forin è noto agli appassionati di canzone d'autore. Genovese di Sori, nato nel 1956, e con un passato da odontotecnico, Forin inizia la sua carriera musicale in ambito jazz. Prima, a cavallo degli anni '70 e '80, con il quartetto jazz-rock dei Cripta, poi fondando insieme a Marco Carbone il gruppo Jazz Insieme e infine entrando nel Louisiana Jazz Club di Genova. Ma Forin è spirito libero e artisticamente versatile e poliedrico e così suona in diverse orchestre da ballo prima di dar vita, insieme Marco Spiccio, Federico Sirianni e Fabrizio Casalino, alla Giostra dei Pazzi. Con Max Manfredi crea Le Ristampe di Tex e propone un repertorio con venature tex-mex.
Forin è però anche autore pregevole e le sue composizioni lo portano ad essere tra i protagonisti di numerose rassegne e nel 2007 è finalista al Premio Bindi. Il grande passo lo compie a inizio 2012 con la pubblicazione di "Aspirina Metafisica", il primo album di Augusto Forin. Una manciata di canzoni che esaltano la fluidità della scrittura di questo artista che trae insegnamento dai maestri della scuola genovese (Max Manfredi duetta in "Sbagliare d'autobus") e che lascia trasparire quell'amore per il jazz che non è mai sfiorito.
Abbiamo incontrato Augusto in occasione del recente spettacolo de Le Ristampe di Tex. Siamo rimasti in contatto e l'intervista che segue è il frutto di una piacevole chiacchierata.



A 53 anni hai pubblicato il tuo primo album. Quando uscirà il secondo capitolo?

«Un secondo e anche un terzo capitolo sono già in cantiere da tempo. Quello che mi scoraggia è la grave crisi che sta colpendo l'industria discografica. La musica si vende a fatica e ancora più fatica si fa con quella di autori poco noti come me. Si riesce a vendere qualche cd dopo un concerto live, sull'onda dell'emozione che si crea. Ma qui nasce un altro problema che è quello della difficoltà nel trovare situazioni che accolgano proposte originali».

Cosa ci puoi anticipare del tuo prossimo lavoro?

«Dopo l'aspirina metafisica per curare l'anima potrebbe servire una bel balsamo apotropaico per le contusioni della vita o un collirio surrealista per una visione più chiara del mondo».

Ho sentito che stai lavorando anche a un progetto che riguarda le Società Operaie di Mutuo Soccorso. Cosa ci puoi dire a riguardo?

«Si tratta di un lavoro musical-teatrale sulla mutualità e la storia delle Società Operaie di Mutuo Soccorso. L'idea di partenza è di Ivano Malcotti, poeta e scrittore geniale. Lui ha immaginato un dialogo semiserio tra due avventori di una SOMS. Questi si mettono a discutere sulle società operaie e così facendo ne ripercorrono la storia: come sono nate, come si sono organizzate, come si sono evolute. Con la regia della mia compagna Patrizia è nata una pièce teatrale; io ho scritto la musica e sono nate anche una decina di canzoni originali che si alternano ai dialoghi».

Resto sul discorso del lavoro per chiederti se gli operai e i movimenti di protesta in Italia esistono ancora?

«No, purtroppo, siamo tornati indietro: alla schiavitù! Non abbiamo le catene alle caviglie ma la nostra libertà è condizionata.Viviamo in una società che ci fa credere che il benessere stia nel superfluo: un'automobile superaccessoriata, l'ultimo telefonino, un lavoro facile dal guadagno altrettanto facile, etc. Per ottenere queste cose accettiamo uno stile di vita contro natura e dimentichiamo i veri valori».

Cosa ti ha dato "Aspirina Metafisica"?

«Alcune soddisfazioni, qualche problema, qualche debito… Sicuramente la buona accoglienza che ha ricevuto mi ha dato un po' di fiducia in più nelle cose che faccio».

Che cosa vorresti che la gente sentisse nella tua musica?

«Cosa vorrei non lo so ma mi piace quando qualcuno mi racconta cosa ci ha sentito. Molto spesso mi fanno notare delle cose che neppure sospettavo di averci messo: ‹In quella canzone quando dici... è chiaro che intendevi...›. Naturalmente quando ho scritto quella frase pensavo a tutt'altro. Questo è il bello!».

Intanto, insieme ad amici come Davide Baglietto, Jacopo Marchisio, Sandro Signorile, stai portando in giro nelle piazze e nei teatri lo spettacolo "Le ristampe di Tex e il liquore di Mefisto", con ottimi riscontri. Come è nata questa idea?

«Le Ristampe di Tex sono nate un bel po' di anni fa. Il nome l'ho ideato io e la prima formazione vedeva insieme a me Sandro Signorile, Max Manfredi, Marco Spiccio e Nino Andorno. Abbiamo fatto qualche serata ma poi la cosa è morta lì. L'anno scorso riparlandone con Sandro ci siamo detti: ma perché non rispolveriamo le Ristampe? Detto fatto. C'era l'occasione di presentare una canzone originale in genovese per musicare un video sulle ceramiche di Albissola: per questo progetto abbiamo coinvolto l'amico Marco Cambri. Quasi di getto è nata "Motto de tera" e l'abbiamo presentata come Ristampe di Tex. La canzone è piaciuta ed è diventata la colonna sonora di quel video. Così sono rinate le Ristampe e dopo qualche rimpasto siamo arrivati alla formazione attuale. Ma ti sei dimenticato di citare Dario Camuffo, bravo cantante e Patrizia Litolatta Biaghetti che è la "donna medicina" nello spettacolo, la nostra regista e insieme a Sandro autrice dei testi».

Sostieni di non sentirti un cantautore, eppure le tue canzoni ti collocano in questa categoria...

«Chiaro che quando uno le canzoni se le scrive e se le canta è un cantautore. Ma è anche vero che io non mi riconosco nella categoria perché mi sta stretta. Mi piace scrivere musica; se ci metto le parole diventano canzoni ma la mia produzione è soprattutto musicale. Ecco sono uno dei pochi casi che può rispondere a quella stupida domanda se nasce prima la musica o le parole. Io parto quasi sempre da un motivo musicale. Questo perché le mie prime composizioni le ho realizzate per un gruppo di jazz progressive, il Quartetto Cripta; sto parlando di 35 anni fa! Il Quartetto Cripta esiste ancora e io continuo a comporre e a suonare il basso con loro».

Qualcuno dice che per essere artisti si deve essere, almeno in parte, pazzi. Tu lo sei?

«Se essere pazzi vuol dire non essere conformisti, non accettare prodotti confezionati e premasticati, non perdere la curiosità, non nascondere i propri sentimenti, lottare per quello che si crede giusto e non aver paura di confrontarsi: allora lo sono».

Ti piace la musica di oggi?

«Esiste una musica che ti cattura: non so se sia di oggi o di ieri. Ti confesso che non sono molto aggiornato sulle novità discografiche. Troppo spesso quello che viene spacciata come musica di oggi è un triste deja ecouté. Ascolto molto la radio, ma la mia è sintonizzata solo su Radio3 e mi trovo a mio agio ascoltando dalla lirica alla sperimentale. Hai mai seguito "Battiti" dopo la mezzanotte? A volte trasmette della roba che se sei in macchina e stai guidando puoi vivere la netta sensazione che si sia rotto qualcosa nel motore… Beh, se quella è la musica di oggi a me piace!».

I liguri sono conosciuti per la loro riservatezza, per la capacità di tenere le emozioni per sé come si trattasse di oggetti preziosi. Eppure la Liguria è terra di grandi cantautori, come è possibile?

«Il carattere dei liguri è sicuramente un carattere chiuso. Le emozioni le tengono dentro, le conservano come cose preziose. Poi, come fossero ingredienti per una ricetta le elaborano e le ricombinano per riproporle. Lo stesso procedimento che caratterizza la cucina ligure. Tutti i piatti qui sono confezionati per sfruttare al massimo le risorse ma anche per durare affinché il marinaio potesse nutrirsi nelle lunghe lontananze da terra. A questo aggiungi, per insaporire, la caratteristica disincantata di tutti i liguri, quell'ironia che diventa un'arma tagliente. Ecco questo credo sia il segreto della "scuola genovese": elaborare, combinare, conservare, ironizzare».

Scrivere canzoni e un intero album a cinquant'anni è più semplice o più complicato rispetto a quando si è giovani?

«Più difficile perché devi fare i conti con il disincanto che accompagna l'età matura. Insomma a vent'anni sei sicuro di poter cambiare il mondo a cinquanta sai per certo che non ci riuscirai. Comunque ci provi lo stesso e, tornando alla domanda di prima, forse la vera pazzia sta in questo».

Per il tuo primo disco hai creato una confezione extra lusso, pensi che in questo modo l'oggetto disco sia più ambito e ricercato?

«In realtà non era una confezione extra lusso. La mia idea era quella di replicare la magia di una bella copertina 31x31 tipica dei vinili. Metà dei dischi che possiedo li ho acquistati solo perché mi piaceva la copertina, spesso neppure conoscevo l'artista o il gruppo che stavo comprando. In quel modo mi sono imbattuto in meravigliose scoperte come gli Yes, King Crimson, Gentle Giant e altri. Ascoltavo la musica con lo sguardo immerso in quelle opera d'arte. Colpa del formato dei cd, quel misero librettino 12x12 ha smesso di farmi sognare».

Lo farai anche per il prossimo?

«Ho pensato a una bella stampa 40x60 con una cornice in radica ma l'idea mi è stata sconsigliata. Ripiegherò su una classica confezione in legno, tipo cassetta per il vino o in metallo tipo litolatta molto più pratica».



Titolo: Aspirina Metafisica
Artista: Augusto Forin
Etichetta: Gutenberg Music/Primigenia
Anno di pubblicazione: 2012

Tracce
(testi e musiche di Augusto Forin)

01. Amanti distanti
02. Scusa
03. L'oriente del nord
04. Una questione di educazione
05. Vagon lit
06. Sbagliare d'autobus
07. Passeggiando
08. Scarpe rotte
09. Aspettando su una pensilina
10. Il tempo perso
11. Quello che manca



mercoledì 23 ottobre 2013

"Quizás", la pentola magica di Gerardo Balestrieri







"Quizás", il quarto album di Gerardo Balestrieri, è una pentola magica da dove pescare ricordi, suggestioni, emozioni e ritmo per ballare e muovere anche e tacchi. Un disco variopinto, pieno di citazioni ma non per questo noioso e ripetitivo. Anzi, a farne un album appassionante è proprio il susseguirsi frenetico e il passaggio continuo tra generi, dal folk al blues, dallo swing al western, fino a toccare ritmi balcanici e sud americani. Un pot-pourri intrigante e suggestivo, da festa popolare e da balera in cui Balestrieri gioca con la voce scura e pastosa senza perdere di vista il ritmo. Diciotto tracce, ventisette motivi, in cui Balestrieri si diverte a omaggiare Tom Waits, Paolo Conte, Fabrizio De Andrè, Gardel, Serge Gainsbourg, la tradizione popolare italiana, il compositore ceco Jaromír Vejvoda e il cubano Osvaldo Farrés. L'album ha ricevuto il giusto riconoscimento conquistando il secondo posto nella categoria "Interpreti" all'ultimo Premio Tenco.
Gerardo Balestrieri non si può considerare un artista emergente. Il suo curriculum è ricco e si divide tra musica e teatro. Negli anni Novanta con La Nave dei Folli ha inciso il disco "Fricco misto", ha partecipato ad Arezzo Wave '96, ha stretto collaborazioni artistiche e discografiche con Daniele Sepe e Bebo Storti. Poi il primo invito al Premio Tenco nel 2000, l'esordio discografico a suo nome con "I nasi buffi e la scrittura musicale" nel 2007, seguito due anni dopo da "Un turco napoletano a Venezia" e nel 2010 da "Canzoni al crocicchio".



Gerardo, "Quizás" è il tuo quarto album. Come è nato e quali sono state le idee che ti hanno portato a produrlo?

"Quizás è nato durante un periodo di stasi discografica. Nell’attesa di capir meglio le sorti delle mie canzoni inedite, ho inciso questo disco in veste d’interprete, canzoni che nel tempo mi hanno sedotto e accompagnato". 

Da "Rosamunda" a "Bocca di Rosa" passando per Conte, Waits, Carosone e Gardel. Come si fa a unire tutto in un unico disco, le cui canzoni peraltro non sono slegate tra loro?

"E' il ritmo l’elemento che unisce le canzoni dell'intero disco. L'album è stato pensato come un concerto, dall'inizio al gran finale, compreso anche di bis". 

Per dar vita a questo patchwork, più affine a certa produzione cantautorale d'oltralpe, hai scelto di cantare in diverse lingue. Perché lo hai fatto?

"E' una scelta naturale. Si tratta di una visione cosmopolita della musica dove il suono della parola incontra e abbraccia il linguaggio musicale". 

Le canzoni che interpreti nel disco le hai scelte perché sono le tue preferite?

"Ovviamente, ma non ne farei una hit parade che escludesse ad esempio i Led Zeppelin o Jimi Hendrix". 

In copertina si legge "Canzoni per anche ed orecchie, per ricci, per pance e per tacchi". E' questo lo scopo delle canzoni del disco?

"E' un sottotitolo che rimanda a canzoni da ballare e da ascoltare, canzoni con cui divertirsi e anche pensare. Un invito all'attenzione e alla leggerezza". 

Prima "I nasi buffi e la scrittura musicale", poi "Un turco napoletano a Venezia", le canzoni al crocicchio per il terzo album e infine "Quizás". I tuoi cambi di rotta artistici sorprendono ma allo stesso tempo hanno un filo conduttore marcato…

"C'è un filo conduttore che tiene insieme ogni canzone dei dischi citati, come anche ogni brano è concepito come un singolo. Più o meno, mi vien da pensare, come dovrebbe essere l'umanità. Se penso ai progetti futuri - non proprio imminenti ma diciamo da qui al prossimo quinquennio - vi trovo invece molte più sorprese riguardo ai cambi di rotta".

Mi ha incuriosito la tua scelta di proporre "Rosamunda". Siamo quasi coetanei e io me la ricordo cantata da mio padre in macchina, in occasione delle gite della domenica. Tu a che ricordi la associ?

"Per me non è un ricordo, altrimenti mi sentirei vecchio, è una realtà che dura da quando sono nato. L'ho suonata la prima volta quando ero bambino e continuo a farlo adesso che lo sono ancora. "Rosamunda" rappresenta l’ultimo ballo di certi matrimoni - da bambino fino alla maggiore età ho suonato in gruppi di non solo liscio - un'impresa guidata fino alla consacrazione finale dell'incontro. E’ la canzone che apre alla notte, fatta di serenate al balcone". 

In questo caso però l'hai interpretata con una frenesia finale quasi punk.

"Per una certa attitudine verso l’evoluzione della tradizione, una sera mi è venuta di suonarla punk - non eravamo ad un matrimonio - e poi da lì è stata incisa". 

Il medley "Bocca di Rosa/Montemaranese/Fimmene Fimmene" è spiazzante. Come hai fatto a legare il sound desertico e acido di "Fimmene Fimmene" con la liricità di "Bocca di Rosa"?

"Semplicemente suonando, il "trittico" è arrivato da solo. I suoni li avevo chiari in mente. Durante alcuni concerti le canzoni son come le ciliegie, soprattutto quando il pubblico vuole ballare". 

Perché ami definirti cantante apolide, senza patria?

"Arrivo alla visione cosmopolita della musica anche da un'apolide condizione umana. Vicissitudini esistenziali mi hanno fortunatamente portato a non appartenere". 

Sei nato in Germania, a Remscheid l'11 giugno del 1971, hai vissuto a Napoli e ora a Venezia. Quanto c'è in te di queste tre realtà così diverse dal punto di vista umano, della società, dell'arte e della musica?

"Mah, ironizzando della Germania mi è rimasta solo l’origine del nome, che mi pare tradotto in italiano sia "bravo con la lancia". La città che più ho addosso e dentro al cuore è Napoli". 

Non hai mai pensato di trasferirti in Francia, nazione molto più attenta a certa musica di qualità?

"Ho vissuto in Piemonte e qualche mese a Marsiglia. Ho pensato di trasferirmi in Francia e ogni tanto ci ripenso. Se ancora non l'ho fatto è perché probabilmente non è il momento". 

Sei reduce dal Premio Tenco. Quest'anno, nella categoria Interpreti, hai trovato sulla tua strada Mauro Ermanno Giovanardi. Come hai accolto il secondo posto?

"Più che sulla mia, di strada Giovanardi ne ha percorsa più che il sottoscritto. E spesso è normale che se hai fatto più strada arrivi prima. Per "Quizás", un secondo posto, considerati i mezzi, è come aver vinto la Targa Tenco". 

Non è la prima volta che partecipi al Tenco e non è la prima volta che arrivi secondo. Cosa pensi della rassegna sanremese?

"E' la mia terza partecipazione ed è anche la terza volta che arrivo secondo. Pensando al medagliere, l'argento è il metallo che amo di più. L’oro e il bronzo non mi piacciono. Della rassegna penso che sia un bel momento per la musica in Italia ed è anche un ottimo posto per arrivare secondi". 

Nei prossimi mesi hai in programma un tour per promuovere "Quizás"?

"In questi giorni suono a Firenze al Porto di Mare e a Roma al Teatro Arciliuto, a metà novembre sarò a Verona. Ci stiamo attrezzando anche per suonare oltralpe e oltre oceano. L’idea è di tornare in California e poi fare tappa in Francia, Belgio, Svizzera e Olanda". 

A quanto so verrai a suonare anche in Liguria a inizio 2014...

"Sì, sarò a La Claque di Genova il 6 febbraio. Non ho mai suonato a Genova e chissà che non diventi una serata speciale. Vi aspetto tutti".  


Titolo: Quizás
Artista: Gerardo Balestrieri
Etichetta: Interbeat/Egea Distr.
Anno di pubblicazione: 2013






lunedì 14 ottobre 2013

"Post-Krieg", l'epitaffio di Simona Gretchen





C'è sempre una fine ma quando arriva troppo presto si rimane spiazzati. La decisione della faentina Simona Darchini, classe '87, di dare un taglio al passato e chiudere l'avventura targata Simona Gretchen, dopo solo due dischi, arriva inaspettata. Anche perché "Gretchen pensa troppo forte", album d'esordio uscito nel 2009, era finito sotto i riflettori della critica specializzata e il successivo "Post-Krieg", uscito a febbraio di quest'anno, ha dato ulteriore credito a questa artista. "Post-Krieg" è un disco cupo dove la luce entra di rado, fatto di canzoni spesso legate tra loro, con echi che rimandano al prog e al krautrock ma anche pieno di idee e soluzioni che ne fanno uno dei dischi più interessanti dell'anno. Otto tracce che danno uno schiaffo forte a tutta quella produzione fotocopia, senza idee e senza nerbo, che sta soffocando il panorama musicale italiano.
L'ispirazione, l'energia e il carisma a Simona, Gretchen o Darchini che chiamar si voglia, non mancano ed esplodono dirompenti in questi ventisei minuti di musica, emozioni, allucinazioni e cadute agli inferi. Un lavoro a tratti anche scomodo ma che non cade, fortuna vuole, in certo intellettualismo fine a se stesso. Un epitaffio artistico, scritto con lucida disperazione, che chiude un ciclo di crescita personale. Cosa riserverà il futuro non è dato saperlo. Addio Simona Gretchen, benvenuta Simona Darchini.


"Post-Krieg" è il tuo secondo album, l'ultimo di Simona Gretchen. Un disco che resterà, alla faccia della produzione usa e getta che imperversa in questi anni. Diverso per certi aspetti, molto meno cantautorale rispetto al tuo album d'esordio…

«Sono d'accordo. Molto diverso, nella sua genesi, nei riferimenti musicali e letterari, negli arrangiamenti e nelle atmosfere. Decisamente più cupo, pesante e "denso", più compatto a livello sonoro e contenutistico, meno sognante».

Perché finisce l'esperienza di Simona Gretchen?

«Perché il fine dell'esperienza Simona Gretchen era "Post-Krieg"».

Dopo un disco come questo viene naturale chiederti di ripensarci…

«Non penso ci sia qualcosa che possa farmi cambiare idea». 

Cosa c'è allora nel futuro di Simona Darchini?

«Molto studio. E non parlo di musica. Continuerò poi a occuparmi della Blinde Proteus. Non so
ancora se prenderò in futuro parte a qualche altro/a progetto/band. Non ho le idee chiare in proposito, né ho fretta di prendere decisioni. In ogni caso non si tratterebbe in nessun modo di una prosecuzione dell'esperienza "Simona Gretchen"». 

Il disco si apre con un intro declamato da una voce femminile in tedesco che lancia l'ascoltatore verso un mondo fatto di oscurità, condito da brani a cadenza marziale e ritmi ipnotici. L'idea del conflitto è evocato alla perfezione ma quale guerra racconti?

«Quella dei "princìpi", in senso artaudiano. Il conflitto interiore di chi è scisso fra nature opposte. I concetti chiave dell'album sono senza dubbio questa "guerra dei princìpi" e il concetto di "fine", in senso lato. Il fatto stesso si tratti dell'ultimo album di Simona Gretchen non è scollegato rispetto a questi aspetti».

Morte e desolazione o rinascita e vigore nel tuo dopoguerra?

«Hai mai visto un dopoguerra che non faccia rimpiangere la guerra? Io sono a pezzi, ma non me ne curo: niente è per sempre. Non credo nelle rinascite, ma credo (ci) si possa migliorare. Le terre desolate sono forse il miglior luogo tanto per spegnersi quanto per ri-programmarsi».

Quali sono stati e come hanno contribuito i tuoi compagni di viaggio alla nascita di questo disco?

«Il disco è stato registrato al Lotostudio, di Gianluca Lo Presti. Paolo Mongardi ha arrangiato e registrato le parti di batteria, Nicola Manzan ha arrangiato e registrato gli archi di "Enoch" e "Everted (part II)", Sabina Spazzoli, attrice/regista teatrale, ha prestato la voce agli inserti di "In" e "Everted (part III)" in lingua tedesca, Silvia Valtieri, che mi accompagna anche nei live, ha registrato le parti di pianoforte, e Lorenzo Montanà, oltre ad aver registrato alcune tracce di chitarra, ha curato la produzione artistica dell'album».

"Post-Krieg" si chiude con le tre parti di "Everted", una mini suite che rimanda a certo rock progressive…

«È una "discesa" finale, una suite tripartita che racchiude, in un certo senso, la chiave del disco. "Everted" procede dall'esterno verso l'interno (il mio), e, come suggerito dal titolo, fa riferimento al concetto di "estroflessione". Certi progressive e kraut rientrano nelle influenze dell'album, e la trilogia "Everted" è la parte del disco in cui emergono maggiormente».

"Post-Krieg" è un disco di breve durata rispetto a quasi tutte le produzioni attuali che superano abbondantemente l'ora. Penso che sia però al passo con la frenetica società attuale, cosa ne pensi?

«La mia esigenza era di tagliare tutto ciò che potesse risultare superfluo. Per questo i tempi della stesura iniziale sono stati irrisori rispetto alla fase di elaborazione successiva. Almeno metà del 2012 è volata via rimaneggiando il disco. Togliendo, ben più che completando».

Nel 2010 sei stata inserita nel doppio cd "La leva cantautorale degli anni zero" con la canzone "Krieg". Qual è il rapporto tra quella canzone e il tuo ultimo disco?

«Mentre scrivevo "Krieg" avevo già un'idea embrionale di "Post-Krieg", mi riferisco qui al disco, non alla traccia omonima. Intitolare così quel brano era una sorta di gioco concettuale: un disco intitolato "Post-Krieg" sembrerebbe consequenziale ad un brano, precedentemente pubblicato, intitolato "Krieg"... In realtà era "Krieg" a far riferimento a "Post-Krieg", benché l'album non fosse ancora stato scritto».

Cosa è rimasto di quella leva cantautorale?

«In me poco, sto guardando da un'altra parte. Già allora stavo guardando altrove, tant'è che in testa avevo quest'ultimo disco, che di cantautorale non ha praticamente nulla».

Con "Gretchen pensa troppo forte" sei finita sotto la luce dei riflettori, hai ricevuto riconoscimenti e critiche molto positive. Come consideri, alla luce delle esperienze fatte in questi anni, il tuo disco d'esordio?

«Vorrei non averlo pubblicato. Non così, se non altro. Ci sono una serie di cose che non ho curato come avrei voluto. Alla fine ne è uscito qualcosa che molti hanno apprezzato, ma che non realizza il suo potenziale, e che, di fatto, non mi convince. Sbagli miei, si intende, senza voler dare colpe a nessun altro. Discorso opposto potrei fare per "Post-Krieg", di cui sono fiera e a cui potrò pensare con soddisfazione anche in futuro».

In questo arco di tempo hai dato vita anche a una tua etichetta. Perché questa scelta e quali sono i tuoi progetti?

«Blinde Proteus è nata nel 2012, ma nella mia testa molto prima. Ho coinvolto musicisti che stimo particolarmente, che spesso conosco di persona. L'idea è di lavorare a progetti in cui credo totalmente, su dischi cui tengo come fossero miei. Questo crea i presupposti per dedicarle tempo e un certo entusiasmo. Si occupa soprattutto di derive, preferibilmente sperimentali, di hardcore/post-core/stoner/post-jazz/psichedelia».

Pensi che ci sia abbastanza follia nei musicisti moderni?

«Mi piacerebbe vederne molta di più. Mi piacerebbe incontrare più gente sopra le righe, e più dischi in grado di lasciare un segno, anche se piccolo, invece di album in serie di cui spesso si conoscono perfettamente in anticipo riscontri e pubblico di riferimento. Sui palchi vorrei più sciamani e meno musicisti-contabili. A te piace il fatto che l'indie italiano stia diventando quello che, sociologicamente, hanno rappresentato i programmi TV a partire dagli anni Ottanta? I più si stanno lasciando convincere che una cosa di cui si parla molto debba per forza essere anche degna di interesse. Artisti e operatori culturali non dovrebbero dissociarsi rispetto a questo stato di cose, o per lo meno fare il possibile per produrre antidoti? Le schegge impazzite potrebbero essere i migliori anticorpi rispetto a quel livellamento di gusto/interesse di cui la rete stessa è risultata, a conti fatti, tutto meno che una cura. Credo servano, allo stesso tempo, più follia e più consapevolezza».

A ottobre si è celebrato il Premio Tenco, cosa ne pensi di questa rassegna e in generale dei concorsi?

«Del Premio Tenco ho solo sentito parlare. Risponderei senza cognizione di causa, in quanto non ho mai vissuto dall'interno la rassegna, né ho potuto assistervi. Ammetto, rispetto invece ai concorsi che ho visto da vicino, di non conservare i migliori ricordi».


Titolo: Post-Krieg
Artista: Simona Gretchen
Etichetta: Disco Dada/Blinde Proteus
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(testi e musiche di Simona Gretchen)

01. In
02. Post-Krieg
03. Hydrophobia
04. Enoch
05. Pro(e)vocation
06. Everted (part I)
07. Everted (part II)
08. Everted (part III)