giovedì 19 dicembre 2013

Giulia Daici canta il Friuli con "Tal cîl des Acuilis"







Il 2013 è stato un anno ricco di soddisfazioni per Giulia Daici. "Tal cîl des Acuilis", terzo disco della sua carriera dopo l'Ep "Attimi" del 2007 e l'album d'esordio "E poi vivere" del 2011, ha convinto la critica e le ha portato in dote il secondo posto al Premio Tenco nella categoria riservata ai dischi in dialetto, dietro al vincitore Cesare Basile. Dopo i primi due episodi discografici cantati in italiano, la raffinata cantautrice, originaria di Artegna in provincia di Udine, ha voluto rendere omaggio alla sua terra con questo nuovo disco cantato interamente in lingua friulana. Nell'album troviamo dieci brani scritti nell'arco di una decina di anni: da "No tu sês", canzone composta nel 2002, fino a "Tal cîl des acuilis", ultima in ordine di tempo, che ha fatto conquistare a Giulia il secondo posto al Festival della Canzone Friulana 2012 e che è entrata in nomination agli Italian Music Awards nella categoria miglior canzone in dialeto dell'anno. La voce dolce e delicata della Daici presenta, in una originale chiave folk-pop, spaccati autobiografici, emozioni e ricordi in una sorta di appassionato diario dei suoi ultimi dieci anni. Un disco interessante, godibile, che non perde nulla della sua integrità anche per chi non conosce il friulano.
Il disco ha visto la luce grazie alla produzione di Simone Rizzi (presente nell'album anche in veste di musicista con tastiere, basso e computer programming) e l'apporto dei chitarristi Andrea Varnier ed Enrico Maria Milanesi, del pianista Alessio De Franzoni, della cantante Serena Finatti e con la partecipazione del Gruppo "In Arte… Buri" di Buttrio e del coro de I Bambini e le Bambine della Scuola Primaria di Artegna.
Del disco e di molto altro abbiamo parlato con Giulia nell'intervista che segue.




Giulia, perché hai scelto di cantare in lingua friulana? 

"In realtà non è stata una scelta studiata a tavolino ma è stato, ed è tuttora, un percorso artistico che è nato spontaneamente e che da sempre procede parallelamente a quello in italiano. Io, infatti, compongo in entrambe le lingue, sia in italiano che in quella friulana. E dopo aver dato visibilità ad alcuni miei brani italiani con i miei lavori "Attimi" ed "E poi vivere", lo scorso anno ho ritenuto giusto far conoscere anche le mie canzoni friulane e così è nato il disco "Tal cîl des Acuilis", che significa "Nel cielo delle Aquile"".

Non pensi che questa scelta possa tagliare fuori una parte del tuo potenziale pubblico? 

"C’è chi pensa che scrivere in lingua locale possa essere limitante ma io credo che sia invece un valore aggiunto, laddove, ovviamente, il tutto nasca in modo spontaneo e con l’intento sincero di esprimere una parte di sé stessi. È vero che l’idioma locale potrebbe forse rappresentare un ostacolo linguistico per la piena comprensione di un testo, però è anche vero che da sempre tutti noi siamo abituati ad ascoltare brani che ci giungono in una lingua diversa da quella italiana - come per esempio la lingua inglese - e che il più delle volte apprezziamo e cantiamo senza per forza aver capito il significato di tutte le parole. La musica non conosce filtri e ha il potere di entrarti dentro in modo immediato. Se un brano "arriva", arriva in qualunque lingua esso sia composto".

Con "Tal cîl des Acuilis" hai conquistato il secondo posto al Premio Tenco nella categoria miglior "Album in dialetto (e lingua locale)". Come hai accolto questo prestigioso riconoscimento? 

"Ovviamente per me si è trattato di una fonte di gioia e di soddisfazione immensa! E continuo a ringraziare dal profondo del cuore tutti i giornalisti che mi hanno ascoltata e sostenuta, che hanno dimostrato stima e fiducia verso il mio lavoro e che mi hanno dato questa preziosissima possibilità".

A vincere la categoria è stato Cesare Basile che non è andato a Bari a ritirare il premio in polemica con il Club Tenco. Basile ha detto "no grazie" per protesta contro gli attacchi del presidente Siae Gino Paoli al Teatro Valle di Roma, dove avrebbe dovuto svolgersi una manifestazione organizzata proprio dal Club Tenco, e a tutti gli spazi occupati dove si fa musica e arte. Hai seguito la vicenda? Cosa ne pensi del dietrofront del Club Tenco che ha annullato l’evento romano e dell’esternazione di Basile? 

"Sull’argomento si è già detto e scritto tanto e non credo serva aggiungere altro. Sicuramente tutte le decisioni sono state prese con serietà e responsabilità da parte degli interessati. Riguardo al non ritiro della targa, posso solo dire che personalmente non lo trovo un gesto molto corretto nei confronti dei giornalisti che hanno sostenuto e dato la loro fiducia ad un lavoro piuttosto che ad altri progetti e anche nei confronti degli altri finalisti della categoria in oggetto, in questo caso quella del miglior album in dialetto. Ma questa è solo una mia opinione personale".

Cosa pensi del Premio Tenco?

"Indubbiamente si tratta di uno dei riconoscimenti più ambiti ed importanti per la musica d’autore in Italia".

Quando sono nate e di cosa parlano le tue canzoni? 

"Tutte le mie canzoni sono autobiografiche ed ognuna di loro rappresenta una parte di me stessa. Mi piace pensare ad ogni mio brano come ad un ponte che collega il mio mondo interiore, con tutti i suoi moti ed emozioni, con l’universo che mi circonda. Con riferimento specifico all’album "Tal cîl des Acuilis", questo è di fatto una raccolta di canzoni in friulano che io ho scritto negli ultimi dieci anni, a partire dal brano più distante nel tempo, "No tu sês" ("Non ci sei", composto per un nonno nel 2002) fino alla canzone più recente, "Tal cîl des acuilis" che dà il titolo all’album. Filo conduttore di tutti i brani sono le emozioni profonde ed i momenti di vita vera vissuti da me in prima persona nella mia terra; in ognuno di loro richiamo elementi legati alle mie origini, alle mie radici, a tutti quegli affetti e a quelle immagini che rimarranno sempre impressi nel mio cuore e nella mia mente, come un tatuaggio indelebile sulla pelle. Non a caso, sulla copertina del disco ho voluto apparire di schiena mostrando, tatuata sull’epidermide, un’immagine che richiama, appunto, l’Aquila, simbolo del mio Friuli".

Cantare un disco in lingua locale è stato un episodio o pensi di proseguire su questa strada?

"Certamente proseguirò con piacere! Mi piace sempre sottolineare che il disco "Tal cîl des Acuilis" non va considerato come una semplice parentesi nel mio percorso artistico, in quanto le parentesi si aprono e si chiudono mentre qui si tratta di un progetto che ho sempre portato avanti – e continuerò a portare avanti - parallelamente a quello in italiano".

Il dialetto/lingua locale unisce o divide?

"Ciò che ti unisce e ti ricongiunge alle tue radici non può essere motivo di divisione ma semmai può diventare una preziosa occasione di arricchimento, sia per chi lo esprime sia per chi lo ascolta. Ogni lingua si fa portavoce di un bagaglio storico, culturale e umano unico. Perderlo vorrebbe dire perdere una parte importante della nostra storia. Non omologhiamoci a tutti i costi: scegliamo di ascoltare, aprire la mente, accogliere ciò che di nuovo e di bello può giungerci ogni giorno e in ogni contesto, sia nazionale sia appunto locale".

Cosa offre attualmente la scena musicale friulana?

"C’è molto fervore e stanno emergendo tante nuove e belle realtà musicali, soprattutto a livello cantautorale".

Come è nata la tua voglia di comunicare utilizzando la musica?

"Sebbene mi sia sempre piaciuto cantare, non mi sono mai "forzata" cantautrice. E’ stato un lento processo di autoconsapevolezza che ha fatto emergere sempre più l’esigenza di esprimere attraverso la musica le mie emozioni, il mondo interiore che pulsava dentro me e che io non riuscivo a trasmettere verbalmente. Sentivo che mi mancava qualcosa, e quel qualcosa l’ho trovato quando un giorno, ai tempi del liceo, ho preso in mano la chitarra e ho iniziato a comporre la mia prima canzone. Si chiamava "Nel cielo" ed esprimeva il mio desiderio di essere libera, libera di esprimermi andando, se necessario, anche controcorrente. Da quella prima volta sono passati ormai diversi anni: da allora non ho mai smesso di cantare, non ho mai smesso di scrivere, non ho mai smesso di viaggiare con la musica".

In una recente intervista Keith Jarrett ha dichiarato <la musica è qualcosa che viene da dentro, qualsiasi circostanza esterna, qualsiasi forzatura uccide la spontaneità>. Cosa ne pensi di questa affermazione? 

"Sono pienamente d’accordo. Ho sempre pensato anche io che la musica sia qualcosa di spontaneo, qualcosa che prima di tutto hai dentro e che, se la fai, la fai innanzitutto per "essere" (ovvero per portare fuori la parte più vera di te) e non per "apparire". La fai perché non ne puoi fare a meno e perché è una parte essenziale di te, a prescindere da risultati o ambizioni. Nemmeno a me piacciono i progetti studiati a tavolino, quelli "forzati" che nascono con il solo scopo di far leva facilmente sulle masse e raggiungere il così tanto agognato successo, ma che alla fine, a ben guardare, con la musica hanno davvero poco a che fare. A proposito di forzature, noto poi spesso come molte persone diano molto peso soltanto all’estensione vocale di un cantante, alla sua intonazione ed al suo saper cantare bene, come se fare la differenza fosse solo una questione di tecnica. Siamo circondati da voci bellissime e da cantanti dotati di una tecnica vocale ineccepibile. Saper cantare bene non è un pregio di pochi. Ma riuscire ad emozionare invece lo è. È il cuore che fa la differenza. Certo, è indubbio che lo studio, la tecnica o l’intonazione possano migliorare l’interpretazione di un brano e possano contribuire a trasmettere emozioni ma, a mio parere, da sole non possono fare molto. La tecnica vocale è un qualcosa che si può sempre acquisire nel tempo e migliorare. La sensibilità artistica - umana prima ancora che musicale - è invece, a mio parere, una dote innata, propria di chi sa aprire il proprio cuore e trasmetterlo agli altri".

Negli Stati Uniti, complice anche il film dei fratelli Coen "Fratello, dove sei?", si è assistito alla riscoperta del genere folk e alla nascita di decine di band molto valide. Potrà succedere mai una cosa del genere in Italia con la musica tradizionale?

"Anche in Italia le risorse non mancano ed anche qui da noi esistono già tante valide band che si dedicano con passione, oltre che con bravura, al genere folk e alla musica tradizionale. La qualità non manca. Manca semmai una maggiore visibilità ed una maggiore attenzione mediatica, ma questo è comunque un problema ormai generalizzato che colpisce anche la musica d’autore italiana, e soprattutto quella emergente. Ma, come si dice, mai disperare e mai perdere la speranza. D’altra parte, come diceva un noto film: non può piovere per sempre…".


Titolo: Tal cîl des Acuilis
Artista: Giulia Daici
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2012




mercoledì 11 dicembre 2013

The Traveller musica la tetralogia di Shakespeare






"Uncensored Kingdom" è il titolo dell'ambizioso progetto musicale di Massimiliano Forleo, in arte The Traveller. Il rocker milanese, fondatore con Dario Accardi dei The Lorean, ha pubblicato il 2 dicembre il primo di tre Ep che metteranno in musica la tetralogia minore di Shakespeare. Con l'Ep "The King" Forleo presenta la figura di Riccardo III. Cinque canzoni i cui testi sono scritti in prima persona come se fossero cantati dal protagonista della storia. Il disco inizia con "Richard III", brano in cui il Riccardo si presenta al pubblico. In "The Mirror" Riccardo espone i suoi progetti e ammette di voler imprigionare il fratello per potergli succedere al trono. In "Human clockwork" è Giorgio, fratello di Riccardo, a cantare. "York" è il momento in cui, dopo aver ricevuto nel sonno la visita dei fantasmi delle persone che ha ucciso, Riccardo implora l'aiuto divino. Infine "Bosworth field" è il capitolo finale in cui, sul campo di battaglia di Bosworth, Riccardo si rende conto di aver sbagliato e muore trafitto dalla spada del conte di Richmond.
Max Forleo ha intrapreso la carriera solista nel 2010 dopo lo scioglimento dei The Lorean. Con il nome The Traveller ha firmato due album: l'omonimo "The Traveller" nel 2011 e "Life" dell'anno successivo.
Con Massimiliano Forleo abbiamo parlato del suo nuovo ambizioso progetto.



Come è nata l'idea di dare vita a una trilogia musicale ispirata alla figura di Riccardo III?

"L'idea è nata dalla volontà di fare un musical. Ho sempre ammirato e ascoltato "Jesus Christ Superstar" e ho avuto il piacere di suonare il "Joseph and the amazing Technicolor Dreamcoat". Insomma, mi è sempre piaciuto legare il canto alla recitazione. La trilogia "Uncensored Kingdom" è pensata su tutta la tetralogia di Shakespeare. Verranno infatti cantate sia la figura di Enrico VI che quella di Riccardo III. Le quattro opere teatrali saranno riassunte in quindici canzoni. Sono partito dalla fine, perché in verità il "Riccardo III" che canto in questo primo Ep è il riassunto in musica dell'ultimo atto della tetralogia di Shakespeare".

William Shakespeare dipinge Riccardo Plantageneto come un re malvagio e crudele. Lo è anche nelle tue canzoni?

"Assolutamente sì. Spietato e crudele. Nella canzone "The Mirror" racconto come prende le distanze dal fratello che con l'inganno viene rinchiuso nella torre. In "Richard III" descrivo inoltre la morte (da me romanzata) della moglie da lui stesso causata. La sua figura malvagia fa capolino anche nella copertina. Riccardo III, in combutta con la Chiesa, è rappresentato come un maiale in un atto di cannibalismo".

Se dovessi trarre una metafora di vita da questa storia?

"Come nel video del singolo in una visione dantesca: ad azione corrisponde poi il contrappasso. La smania di potere, l'ingordigia hanno portato il Re al tracollo".

Sei appassionato di storia?

"Non direi tantissimo, sono più appassionato di arte".

Torniamo a parlare della copertina. Raffigura un maiale seduto al tavolo da pranzo insieme a due porporati che hanno una croce bianca come testa...

"E' Riccardo a tavola insieme ai suoi alleati. Mangiano un uomo gomitolo, figura tipica delle mie copertine, che rappresenta l'uomo comune. E' proprio nella copertina raffiguro la smania di potere con l'ingordigia che rende il Re un maiale".

Perché hai deciso di chiamarti The Traveller?

"Perchè il viaggio è il segreto per portare in giro la propria musica. E anche perché da quando ho cominciato a suonare musica originale, nel 2003, sono sempre stato in viaggio".

Quando sei in viaggio che musica ascolti?

"Di solito dormo oppure guido. Non ascolto nulla!".

Dove ti porterà il viaggio?

"Spero ancora lontano. Il viaggio mi porterà quest'anno ancora in giro per l'Italia, nei mesi di  febbraio e marzo nell'est Europa e soprattutto ad aprile negli Stati Uniti. Il viaggio è in continuo mutamento a seconda dei nuovi input che la vita regala. Questo viaggio mi ha portato in mezzo alla gente e ha portato la mia musica negli stereo delle persone".

Perché hai scelto di abbandonare i The Lorean e intraprendere la carriera solista?

"Il progetto The Lorean l'ho iniziato nel 2003 insieme a Dario Accardi. Nel corso degli anni si è sviluppato e la line up è cambiata più volte. Ho sempre desiderato che la band fosse tale, invece non è mai stato un gruppo nella produzione, nella sponsorizzazione e negli investimenti. Al che, dato che ero solo nella parte produttiva e il 90% delle canzoni erano le mie, ho continuato da solo".

Rimpiangi di averlo fatto?

"No".

Ci sono musicisti che ti hanno influenzato?

"Direi su tutti Jeff Buckley, U2, Massive Attack e Coldplay".

Hai un disco favorito? Il favorito di sempre?

"Non posso che dire "Grace" di Jeff Buckley".

Come sono strutturati i tuoi concerti?

"La scaletta pesca nei tre album pubblicati ma cambia ogni sera in base alla risposta del pubblico e da come sento la serata. Spesso scatta il momento jam in cui improvvisiamo un po' di classici del rock internazionale per carpire l'attenzione anche dei più refrattari".

Suoni in acustico o ti accompagni con altri musicisti?

"Mi esibisco in entrambe le combinazioni. Quando suono da solo mi accompagno con una chitarra dodici corde, mentre con la band uso una sei corde Maton".

Nel corso della tua carriera hai suonato molto anche all'estero. Rispetto alla situazione italiana ci sono delle differenze che ti hanno colpito?

"La prima differenza è che nell'ambito underground bisogna sfatare un mito: i locali sono più attrezzati in Italia. La seconda è che l'attenzione del pubblico e la voglia di fare musica originale da parte dei locali è più alta all'estero".


Titolo: Uncensored Kingdom - Part I (The King)
Artista: The Traveller
Etichetta: My Place Records
Anno di pubblicazione: 2013





mercoledì 4 dicembre 2013

I valdostani L'Orage cantano "L'Età dell'Oro"





Si chiamano L'Orage (temporale in francese) e sono il gruppo rivelazione valdostano che anche Francesco De Gregori ha voluto al suo fianco. Con il loro terzo album, "L'Età dell'Oro" uscito quest'anno sotto etichetta Sony, la band ha compiuto l'atteso salto di qualità conquistando critica e un'ampia schiera di appassionati. Il loro festoso "rock della montagna" è intriso di musica tradizionale, del folk delle valli delle Alpi Occidentali, dell'insegnamento dei cantautori italiani e francesi e di una spolverata di rock. Una musica che viene da lontano ma sempre moderna e attuale. Con l'ausilio di ghironde, organetto, violino ma anche di chitarre elettriche, basso e batteria, l'ensemble di sette elementi, capitanato dal cantante e autore Alberto Visconti, dà vita a un suono fresco e per certi versi innovativo. Anche i testi delle canzoni sono ricercati e la vena poetica di Visconti trova spunti nella migliore letteratura: da Rimbaud a Calvino e Pavese.
In attesa di ascoltarli dal vivo al Teatro Ambra di Albenga il 6 dicembre, in occasione della seconda serata della rassegna "Su La Testa" organizzata dall'Associazione Culturale ZOO, abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Alberto Visconti.




Alberto, ci racconti come è nato il progetto L'Orage?

"Nel 2006, appena tornato da un periodo trascorso in Sud America e dopo qualche anno di inattività artistica, ho ricominciato a esibirmi dal vivo ad Aosta e a Torino. Ero circondato da un mondo variegato e un po' fricchettone in cui si suonava molto... facevamo fuochi nei boschi e suonavano intere nottate. Durante l'estate ho coinvolto il polistrumentista Rémy Boniface, già molto conosciuto in Valle d'Aosta perché membro dei Trouveur Valdotén e in numerosi altri progetti, in alcune date e la risposta del pubblico è stata entusiasta. La commistione tra le mie canzoni e i suoni del violino e dell'organetto diatonico, condite dal martellare di una discretamente folta schiera di percussionisti intercambiabili di volta in volta creavano un sound che aveva qualcosa di speciale e la gente ha cominciato a seguirci. In pochi mesi ci siamo ritrovati a tenere concerti affollatissimi nei locali di San Salvario, a Torino. Erano esperienze piuttosto selvatiche durante le quali ci affidavamo molto all'improvvisazione. Suonavamo di tutto, dai Velvet Underground ai balli tradizionali passando attraverso i CCCP e i Noir Désir. Mi sono capitate di recente tra le mani delle registrazioni risalenti a quel periodo e le ho trovate molto emozionanti.

Il passo successivo?

"Si è compiuto durante uno di questi concerti al "Covo della Taranta", in occasione del quale si è unito a noi il fratello di Rémy, Vincent Boniface. Vincent è uno strepitoso polistrumentista e la sua esperienza insieme al suo affiatamento musicale col fratello ci hanno fatto compiere un primo salto di qualità. A quel punto però, per supportare degnamente la musica che stavamo immaginando, non potevamo più accontentarci di formazioni estemporanee, avevamo bisogno di una vera band. Diciamo che verso la fine del 2008 avevamo reclutato la formazione completa, che non è mai stata modificata: oltre a noi tre Florian Bua alla batteria, Stefano Trieste al basso, Ricky Murray alle percussioni e Memo Crestani al basso. La squadra ha funzionato bene dal punto di vista musicale ma sopratutto dal punto di vista umano. Ce la siamo veramente spassata!".

Da cantautore folk a leader di una band. Perché hai fatto questa scelta e cosa cambia nel tuo approccio compositivo?

"Sono stato cantautore più per necessità che per vocazione. Sono uno spirito libero e fin da ragazzo mi è piaciuto viaggiare con la chitarra. Poi ho buona memoria e ricordo un sacco di canzoni, quindi, nel piccolo mondo valdostano ho animato centinaia di feste, mi piace suonare. Però, quando si è trattato di registrare le mie canzoni ho sempre cercato la collaborazione con i musicisti. Se è vero che i miei maestri sono stati Cohen, Dylan, Brel e Brassens è infatti altrettanto vero che in materia di dischi ho sempre idealizzato molto la pulizia del suono degli album dei Beatles. Non amo la trascuratezza in musica e trovo biasimevole proporre al pubblico una bella canzone suonandola in maniera approssimativa. La collaborazione con questa band è stata per me un'esperienza molto appagante. Inoltre suonare con un gruppo è molto meno faticoso di tenere un intero concerto da solo. Credo di essere cresciuto molto come musicista e come interprete grazie al confronto e al lavoro con i miei compagni de L'Orage. Dal punto di vista compositivo il fatto di scrivere per un gruppo ha significato sopratutto disinteressarsi un po' all'aspetto chitarristico delle canzoni lavorando invece maggiormente su quelli ritmico e armonico. Inoltre il confronto costante con i fratelli Boniface, che firmano insieme a me la musica delle canzoni, mi ha portato a imparare a mettermi molto in discussione".

Quanto incide la cultura francofona sulla vostra musica?

"Direi parecchio. Intanto perché si tratta di un "altrove" musicale diverso dal solito anglosassone che  per noi è molto accessibile grazie al fattore linguistico. In secondo luogo perché si tratta di un mondo musicale ricchissimo che influenza la musica de L'Orage da due fronti. Da un lato, il mio, risentiamo dell'influenza dei grandi cantautori d'oltralpe: Brassens, da una canzone del quale prendiamo il nome, Brel, e Gainsbourg del quale abbiamo anche inciso una cover. Dall'altro lato, quello dei fratelli Boniface, la musica tradizionale, il Trad francese è, per molti versi, la nostra musica tradizionale, quella che suoniamo e che balliamo. La famiglia Boniface, i Trouveur Valdotén, hanno svolto un ruolo cruciale nella riscoperta del repertorio tradizionale nella nostra regione che è una regione in cui si parla il francoprovenzale. Come puoi immaginare si tratta di un intero universo di influenze che arrivano dalla Francia".

"L'Età dell'Oro", il vostro terzo album, ha ricevuto ottime critiche ed stato pubblicato per l'etichetta Sony. Un bel risultato, ve lo aspettavate?

""L'Età dell'Oro" segue "Come una festa" del 2010 e "La bella estate" del 2012. In buona misura è una raccolta del meglio dei due album precedenti che non avevano avuto una distribuzione al di fuori dei nostri concerti (arrivando comunque a superare le 6.000 copie vendute). Quando la Sony ci ha contattato proponendoci la pubblicazione di un album abbiamo pensato che avremmo dovuto creare qualcosa che, da un lato, accontentasse chi già ci seguiva e per questo abbiamo inserito tre inediti di studio e tre live e, dall'altro, permettesse a chi ci scopriva tramite questo primo album distribuito di entrare subito nel cuore dei nostri spettacoli. Abbiamo così selezionato le canzoni più amate dal nostro pubblico. Devo dire che un po' ce lo aspettavamo o perlomeno ci speravamo. Fin dalle prime incisioni ci siamo imposti standard qualitativi molto alti, lavorando da e con i professionisti. Troviamo molto stimolante lo studio d'incisione e abbiamo speso molto tempo ed energie, insieme ai nostri fonici, per ottenere il sound che desideravamo".

Qual è la vostra età dell'oro?

"Attualmente il nostro obiettivo è quello di incrementare il live. Vorremmo girare la penisola più ancora di quanto stiamo facendo; ci sentiamo pronti per i grandi festival. È sui palchi grossi che L'Orage esprime il suo meglio. Ah, poi vorremmo la pace nel mondo, la tolleranza, le autostrade gratis, la legalizzazione della cannabis, un governo composto da persone oneste e laboriose, un endorsement con la Lamborghini e altre cosucce".

Cosa volete comunicare con la vostra musica?

"Vogliamo comunicare che è possibile fare una musica diversa senza rinunciare a fare festa, al ritmo. Vogliamo comunicare che gli strumenti acustici suonati e dei testi un po' più ricercati rendono un concerto più entusiasmante rispetto alla monotonia dello standard commerciale. Vogliamo comunicare che è ora in Italia di liberarci dalla soggezione per tutto ciò che arriva dall'estero perché è ora di finirla di entusiasmarsi per i Mumford and Sons per poi produrre Marco Carta (povero, è simpatico, non me ne voglia, lo invito a cantare con noi!). Vogliamo comunicare la nostra maniera di stare al mondo, di amare la natura, l'amicizia, la musica... Esagero?".

Direi proprio di no! Nel vostro ultimo album avete come ospite Francesco De Gregori, caso più unico che raro. Come è stato lavorare con lui e come è nata questa collaborazione?

"Abbiamo conosciuto Francesco a Musicultura 2012, dove lui era ospite e noi siamo stati i vincitori assoluti. Io volevo semplicemente stringergli la mano, un po' intimidito e invece abbiamo fatto amicizia. Pochi mesi dopo ci siamo incontrati nuovamente ad Aosta e io gli ho proposto questa collaborazione un po' pazza. Lui ha accettato immediatamente! Insieme abbiamo realizzato un intero spettacolo riarrangiando alla nostra maniera una dozzina di suoi pezzi. Come ciliegina sulla torta finale lui ha cantato una mia canzone, "La teoria del veggente", che ora trovate ne "L'età dell'oro". Lavorare con lui è stato facile, divertente, stimolante e terribilmente istruttivo. In prova è sempre impeccabile, si potrebbero pubblicare le registrazioni delle prove vista la qualità costante del suo cantato. Quando, dopo tutto quel lavoro, siamo usciti sul palco insieme, davanti a tutto quel pubblico... beh... è stato uno dei momenti più emozionanti della nostra vita".

Non pensi che l'aver inserito tre brani dal vivo - "La teoria del veggente" cantata da De Gregori, la strumentale "Laridé de la Principesse" e "Satura" - faccia perdere omogeneità al disco?

"Come dicevo "L'Età dell'Oro" è un disco costruito per essere una specie di compendio del nostro mondo e non è quindi pensato come un album. Ciononostante io ho l'impressione che fili liscio e che i tre live finali aggiungano una nota di calore che non guasta affatto a fine ascolto. Inoltre, se De Gregori avesse cantato una tua canzone tu non la inseriresti in un disco? Anche le versioni di "Satura" e "Laridé" le volevamo inserire perché ci piacevano più delle registrazioni di studio. Ad ogni modo speriamo di pubblicare presto un intero album live, cosa che stranamente i nuovi gruppi non fanno mai".

"Come una festa", il vostro primo disco, presenta dodici canzoni che girano intorno alla figura e all'opera del poeta Arthur Rimbaud. Quanto hanno in comune poesia e musica?

"Musica e poesia sono nate insieme e, nel corso della storia si sono respinte e di nuovo attratte come la coppia dei "vecchi amanti" cantata da Brel. Il nostro primo strumento musicale è stata la voce, quindi non c'è cosa più naturale del cantar parole. Sono due linguaggi dell'anima, capaci di penetrare sotto la scorza degli anni e della quotidianità".

Quanto la parola scritta, che siano poesie o narrazioni, influenzano la vostra musica e i vostri testi?

"I riferimenti letterari che spesso inseriamo nei nostri testi hanno la funzione di espandere lo spazio narrativo della canzone, un po' come se si trattasse di link che uno, se vuole, clicca. Però cerchiamo di non essere pesanti o eccessivamente "professorali" e spero che se uno non coglie il riferimento a Rimbaud ne "La teoria del veggente" possa ugualmente godersi la canzone. Più in generale credo che l'unica maniera per godere realmente di un'opera d'arte sia quella di leggerla alla luce della storia dell'arte. È quindi abbastanza naturale cercare un dialogo, e anche ispirazione in quanto è stato scritto prima. Ti faccio notare che lo stesso processo di "citazione mascherata" che adoperiamo nei testi lo applichiamo anche alla musica. Nei nostri dischi trovi parecchie citazioni musicali, le hai scovate?".

Qualche citazione l'ho trovata. L'Orage è composto da sette elementi. Come vi dividete i compiti quando si tratta di lavorare a un nuovo disco?

"Generalmente io mi presento in sala prove con gli scheletri delle nuove canzoni, giusto voce e armonia. A quel punto, guidati da Vincent, proviamo a esplorare le possibilità del nuovo brano, suonando con strumenti diversi, o sperimentando differenti ritmi e tonalità. Siamo molto esigenti con noi stessi, ci sono pezzi che stiamo lavorando da tre anni e che ancora non ci sembra abbiano trovato la loro giusta veste. Una volta trovato il giusto mood ogni musicista rifinisce le sue parti. Stiamo dedicando un'attenzione crescente alle parti vocali degli arrangiamenti, visto che siamo in tre a cantare".

Qual è la vostra visione della musica tradizionale?

"La musica tradizionale è il nostro principale nutrimento, è l'acqua sulla quale navighiamo. Inoltre, oggi, è la musica più attuale che ci sia. Il progresso tecnologico, a differenza di quanto creduto dai pionieri di certa musica elettronica, non ha portato tanto alla creazione di nuovi suoni strabilianti quanto piuttosto alla creazione di apparecchi estremamente fedeli nel catturare e riprodurre il suono degli strumenti acustici. Portare una ghironda su un grande palco da rock trent'anni fa era impensabile non tanto per ragioni artistiche quanto per ragioni tecniche. È il motivo per cui i Beatles hanno smesso di suonare dal vivo quando hanno cominciato a inserire archi, trombe e sitar nei loro dischi. Il famigerato ritmo "forsennato" del rock'n'roll alle orecchie di oggi risulta abbastanza monotono nel suo ostinato quattro quarti, anche un ragazzino in discoteca troverebbe più trascinanti (e in effetti avviene) certi ritmi balcanici. Voglio dire che non è che prima la gente non avesse il senso del ritmo! Inoltre non esiste al mondo suono sintetico capace di toccare certe corde emotive al pari del timbro di uno strumento acustico, di un violino, di un organetto, di una chitarra. Credo che qualche secolo di ricerca, dedizione ed esperimenti sul ritmo compiuti da generazioni di anonimi musicisti popolari siano un patrimonio la cui riscoperta ha dell'entusiasmante e di cui dobbiamo essere grati alla generazione che ci ha preceduto: ai Malicorne, ai Fairport Convention, o, più vicini nel tempo, ai Lou Dalfin. Inoltre la musica tradizionale è per sua natura molto aperta e coniugabile con infinite influenze, perché non quindi con il rock o la canzone d'autore?".

Qual è lo stato di salute della musica in Valle d'Aosta?

"Direi ottimo. Ho l'impressione che si tratti - tenendo conto delle dimensioni - di una delle regioni più frizzanti d'Italia dal punto di vista musicale. E te lo dimostro: oltre a L'Orage sono valdostani la cantautrice Naif, il gruppo teen rock de I Dari, Francesco C che ha scalato le classifiche negli anni novanta, I Kina che sono stati forse, insieme ai CCCP, il principale gruppi punk in Italia, i Kymera che hanno sbancato a X-Factor, il primo violoncello dell'orchestra della Rai Stefano Blanc, i Nanda super gruppo blues appena tornato da una tournée negli Stati Uniti e tanti tanti altri. Voglio inoltre sottolineare che esistono anche importanti realtà produttive. Lo studio con cui collaboriamo per esempio, il MeatBeat di Sarre, registra e produce progetti provenienti da tutta Italia".

"Questa musica ci porterà lontano", è una affermazione che si sente al termine della canzone "Satura". E' un sogno o ne siete convinti?

"Mi fa piacere questa domanda: dimostra che hai sentito il disco proprio fino in fondo. Ad ogni modo crediamo a quell'affermazione fermamente se riferita alla musica contenuta in tutto il disco, forse un po' meno se riferita alla sola ghost track!".

Dove volete andare e quali sono i progetti futuri?

"Tra pochi giorni presenteremo il nostro nuovo videoclip al Festival del Cinema Noir di Courmayeur. Più sul lungo periodo stiamo pensando a un album per il mercato europeo. In ogni caso la priorità rimane il live: l'ho detto e lo ripeto, vogliamo i palchi dei grandi festival".


Titolo: L'Età dell'Oro
Artista: L'Orage
Etichetta: Sony Classical
Anno di pubblicazione: 2013