mercoledì 26 febbraio 2014

Valentina Amandolese, le note rosa di Genova






Il cantautorato femminile, poco rappresentato nel periodo di massimo splendore della scuola genovese, ha trovato negli ultimi anni interpreti molto interessanti. Una di queste è Valentina Amandolese, cantautrice genovese che si è presentata al grande pubblico vincendo nel 1998 il concorso "Generation Globe" e partecipando al festival francese "Le printemps de Bourges". Dopo un paio di Ep autoprodotti, la Amandolese ha pubblicato, nel 2011, il suo disco d'esordio intitolato "Nella stanza degli specchi". Un album accolto molto bene dalla critica che ha apprezzato la capacità di scrittura e la voce potente e allo stesso tempo melodiosa dell'artista genovese. A tre anni di distanza la Amandolese è al lavoro per dare un seguito a questo disco dalle belle sonorità rock-indie. Oltre a essere una valida musicista, la Amandolese è anche una delle fondatrici dell'associazione culturale Lilith che si occupa di promuovere e dare spazio alle nuove cantautrici e che ogni anno organizza a Genova il "Lilith - Festival della musica d'autrice".
Con Valentina abbiamo parlato della sua musica, dei progetti futuri e naturalmente di Lilith.




Sono passati più di dieci anni dalla vittoria al concorso "Generation Globe". Cosa è cambiato nel tuo modo di intendere la musica?

«Ricordo con estrema tenerezza i miei 17 anni e quella partecipazione, diciamo che in qualche modo ha segnato uno step importante nella mia vita di musicista: da poco avevo iniziato a scrivere canzoni e quello è stato il primo riconoscimento di una certa importanza, mi ha incoraggiata a proseguire. L'entusiasmo è sempre lo stesso, sicuramente è cambiato l'approccio. Dopo tanti anni di esperienza mi sento un pochino più "corazzata" e consapevole rispetto a quella ragazzina che partiva per la Francia con negli occhi sogni ancora da scoprire». 

Dopo un paio di Ep, nel 2011 hai pubblicato il tuo primo disco, "Nella stanza degli specchi". A tre anni distanza lo rifaresti?

«Il primo disco è sempre un passo importante, tante volte lo progetti, lo pianifichi, lo immagini. Poi a un certo punto ti senti pronta, focalizzi le idee su quello che vuoi che sia il tuo biglietto da visita. Ho lavorato tanto per quel disco, registrato a Catania con Daniele Grasso al The Cave Studio, e riascoltandolo oggi credo che non cambierei molto. Sono ancora orgogliosa del lavoro svolto sia in fase di scrittura che poi in fase di arrangiamento e realizzazione. E non è poco, spesso riascoltando cose fatte in passato ci si ritrova a non esserne più tanto convinti, ma a me non è successo». 

Tu genovese sei andata a Catania per realizzarlo. Non potevi restare nella città di Tenco, Paoli, Lauzi, De André e Bindi?

«Eh eh, in tanti mi hanno fatto questa domanda. La risposta è piuttosto semplice: la mia città è molto legata al cantautorato classico, io invece mi sono sempre sentita una "cantautrice atipica", molto più influenzata dalle sonorità inglesi e americane, molto attenta alla componente strumentale delle canzoni. Il rischio è quello, in Italia, di risultare né carne né pesce, né cantautrice né musicista rock. In altri paesi questo problema non si è mai posto, e forse piano piano anche qui, almeno in un certo panorama che sento affine, quello indie, le cose stanno cambiando. Insomma, per seguire questo intento - un cantato in italiano che si fonde con sonorità più internazionali e alternative - Catania e quello studio in particolare mi sono sembrati i luoghi giusti». 

Come hai anticipato, trovo che il tuo disco abbia un suono molto internazionale. A influenzarti sono stati i tuoi ascolti in età giovanile?

«Assolutamente sì - vedi che tutto torna, per fortuna il mio lavoro viene percepito così come volevo che arrivasse al pubblico -. Sono sempre stata molto curiosa, ho sempre ascoltato con attenzione la musica non italiana, in modo direi tecnico, scoprendo che le sfumature sonore da noi sono poco personalizzate... e questa cosa non mi è mai piaciuta. La mia sfida è quella di plasmare piano piano la mia identità sonora che, unita alla mia voce e alla mia scrittura, possa rappresentarmi. Un po' come è stato per alcuni dei miei ascolti preferiti di sempre: PJ Harvey, Radiohead, Low, etc.». 

Che rapporti hai con gli specchi?

«Gli specchi... sono stati il fil rouge del mio primo disco. Specchio inteso come riflettente e generatore di mille punti di vista su me stessa e sulla realtà. Mi piace pensare che, come appunto in una stanza degli specchi, ognuno di noi sia visto dall'esterno in mille modi diversi... come all'interno di un caleidoscopio, la realtà diventa molto più soggettiva e interpretabile». 

A volte possono deformare la realtà, i tuoi testi invece sono molto reali…

«I miei testi nascono quasi sempre con un taglio autobiografico, sia che parlino di storie che mi vedono protagonista, sia che riguardino altri soggetti. Tutto filtra attraverso la mia esperienza, per questo poi si percepisce la realtà del racconto. Del resto, per quanto atipica, sono pur sempre cantautrice e mi piace la veste di narratrice di storie». 

Dopo un ottimo esordio ci vuole una conferma. A che punto sei con il tuo nuovo disco?

«Ho da poco preso decisioni piuttosto importanti in merito. Non voglio ancora svelare troppo. Per ora posso solo dirti che ho trovato il produttore giusto, con cui faremo un lavoro a quattro mani, e che sarà un disco strano, soprattutto per come è stato concepito e verrà realizzato…». 

Resterai fedele alla linea di "Nella stanza degli specchi" oppure punterai a soluzioni diverse?

«Ci saranno soluzioni decisamente diverse, soprattutto negli arrangiamenti: il primo disco è stato suonato, sia in studio che poi nei live, in trio. Quello nuovo mi vedrà finalmente impersonare al cento per cento la mia attitudine di one-girl band. Resterà invece molto forte, rafforzandolo, il rapporto stretto tra il cantato in italiano e le sonorità più anglofone». 

La scena musicale femminile genovese sta vivendo un periodo di grande fermento. Secondo te cosa spinge molte ragazze a cantare?

«Credo che finalmente le donne nella musica si siano prese il loro spazio. Non sono più soltanto le cantanti in band prettamente maschili, ma sono diventate autrici, musiciste e produttrici. Si sporcano le mani insomma, forse stupendo gli ascoltatori abituati a vederle più relegate in vesti meno attive. Io mi sento totalmente partecipe di questa "rivoluzione" iniziata ormai da diverso tempo, e ne sono orgogliosa». 

Sei stata tra le fondatrici dell'associazione Lilith che tutti gli anni organizza un festival tutto al femminile a Genova. Quali sono i progetti futuri e quale artista ti piacerebbe che partecipasse alla prossima edizione?

«Proprio per i motivi descritti prima è nata qualche anno fa l'associazione culturale Lilith, fondata insieme a due colleghe genovesi, Sabrina Napoleone (presidente dell'associazione) e Cristina Nicoletta. Oltre a essere musiciste ci siamo sentite in dovere di diventare organizzatrici di eventi, che creassero il giusto spazio per la canzone d'autrice (ma non solo). Oltre al Lilith Festival, che giunge quest'anno alla quarta edizione e che l'anno scorso ha offerto alla città di Genova una tre giorni completamente gratuita che ha visto sul palco in piazza De Ferrari cantautrici emergenti e le tre madrine d'eccezione Cristina Donà, Marina Rei e Paola Turci, quest'anno abbiamo creato alla Claque una rassegna cui teniamo molto, Lilith Nest, sempre con la preziosa collaborazione di Douce Pâtisserie Café, partner ormai storico del Lilith Festival. Volevamo creare un nido presso la Claque, per ospitare tutte le voci a nostro avviso più rappresentative della scena nazionale attuale, abbiamo già ospitato Levante e Iacampo e nei prossimi mesi ci saranno tante altre sorprese. Insomma, non ci fermiamo mai. Stiamo anche chiudendo la lista delle partecipanti del Lilith 2014. Il sogno, per le prossime edizioni è quello di avere una delle mie artiste preferite, PJ Harvey... magari non sarà quest'estate ma non smetto di sognarlo».


Titolo: Nella stanza degli specchi
Artista: Valentina Amandolese
Etichetta: Dcave Records
Anno di pubblicazione: 2011

Tracce
(testi e musiche di Valentina Amandolese, eccetto dove diversamente indicato)

01. Cosmico blu
02. Stringi i denti Valentina
03. Imago
04. Osmosi
05. Bold as love  [Jimi Hendrix]
06. Nessun biglietto per il mare
07. In terza persona
08. Lo stesso viaggio



venerdì 14 febbraio 2014

Le "Piccole partenze" del cantautore Vitrone







Tra l'infinita produzione discografica che ha invaso in questi ultimi anni piattaforme digitali e stores, è sempre più facile che possano sfuggire all'attenzione generale lavori degni di nota. Come è appunto l'album "Piccole partenze" del cantautore casertano Vitrone. Un lavoro raffinato di un artista arrivato alla maturità dopo esperienze come voce di una band metal, i T.R.B., leader del gruppo folk-rock Nafta e come fondatore del duo Vitronemaltempo. Assai apprezzato da Fausto Mesolella che lo ha invitato al Premio Bianca D'Aponte, Vitrone, all'anagrafe Gennaro Vitrone, è tornato sulla scena musicale in veste di solista come già gli era accaduto all'inizio della sua carriera. Il musicista casertano aveva infatti dato alle stampe due album nel classico stile cantautorale prodotti da Ferdinando Ghidelli ("Dapprincipio" del 2001 e "Stravagando" del 2003).
Quindici mesi di lavorazione in casa e in studio sotto la direzione del produttore Mimmo Cappuccio (James Senese, Enzo Avitabile), hanno dato vita a un disco a forte impronta intimista che percorre strade già conosciute senza cadere però in ripetizioni scontate. Effetti, campionamenti, un pizzico di elettronica rendono il disco molto interessante, attuale e per nulla scontato. A impreziosire l'album ci sono collaborazioni illustri come quelle con Vittorio Remino, già bassista degli Avion Travel, Marta Argenio e Maurizio Stellato fondatori dei The Actions, la tromba di Almerigo Pota, il pianista Fabio Tommasone, il cui apporto è fondamentale in quasi tutte le canzoni del disco. E poi con lo scrittore Ivan Montanaro e l'attore-autore teatrale Roberto Solofria.




Gennaro, sei tornato al tuo progetto solista dopo una parentesi di cinque anni in cui sei stato impegnato con Vitronemaltempo. Cosa è cambiato nel tuo approccio alla musica?

«Già nell'album "Ancora quadri alle pareti" del 2008 di Vitronemaltempo c'era la consapevolezza di voler proporre una canzone d'autore che vivesse il contesto, attualizzata, dove era importante sottrarre piuttosto che aggiungere. Lo stesso concetto l'ho reso ancora più estremo in "Piccole partenze". I testi sono essenziali, minimali. Stesso discorso per gli arrangiamenti. La forma canzone c'è in alcuni brani, ma non c'è in altri, al ritornello ho preferito un tema. Credo sia un lavoro istintivo ma anche elaborato».

Di cosa parla il tuo nuovo disco?

«Il disco parla di piccole e grandi storie, spesso sotto forma di metafora. In "Torno al giardino", per esempio, il pretesto di una storia d'amore diventa marginale quando parlo di tornare alle radici. Una frase a cui sono molto legato è ‹guardo i fiori toccati dal vento, colorati coriandoli nel cielo e i frutti cadere dagli alberi, marcire›».

È un disco introspettivo, crepuscolare, dipinto a tinte pastello. Quanto c'è di autobiografico nelle canzoni che lo compongono?

«Era esattamente quello che volevo realizzare, un lavoro introspettivo ma allo stesso tempo fruibile. Qualche brano è autobiografico come, per esempio, "Inverno". In altri sono partito da una attenta osservazione per poi andare a descrivere i personaggi, come la ragazza di "Piccole partenze", che ho conosciuto veramente. Era esattamente così, impaurita ma decisa a lasciare il suo paese, il suo guscio. Ora è una donna realizzata, credo viva a Milano».

Sotto il profilo prettamente musicale hai usato molti effetti e riverberi, specialmente in ambito vocale e chitarristico. Perché?

«In effetti è così: loop, voci filtrate e campionamenti rappresentano un elemento importante nel mio sound. È così è anche per il mio chitarrista Gianpiero Cunto, era così nel progetto Vitronemaltempo ed è così con Vitrone. In "Vitronemaltempo" l'uso dell'elettronica era ancora più presente, il produttore di quell'album aveva lavorato tra gli altri con Massive Attack e Almamegretta. La sua impronta si sente, sono molto fiero di quel disco, ci aprì le porte dei più grandi concorsi nazionali. Di quell'album ho ripreso la canzone "Arcobaleni" che ho completamente riarrangiato per il disco "Piccole partenze"».

Vi ho trovato un pizzico del Riccardo Sinigallia del periodo dei Tiromancino, qualche spruzzata di Niccolò Fabi e Pacifico, una buona iniezione di Battiato, specialmente nella canzone "Inverno". Cosa ho sbagliato e di chi mi sono dimenticato?

«Tutti gli artisti che hai nominato sono per me un punto di riferimento, Battiato su tutti. Aggiungerei anche Virginiana Miller, Verdena e Avion Travel, tra le band straniere Beatles, ancora Beatles e sempre Beatles. John Lennon su tutti, gigantesco, ma anche Radiohead e Depeche Mode».

Perché hai scelto di far recitare a Roberto Solofria un prologo alla title track?

«Roberto è un autore e attore teatrale che come me è di Caserta e vive a Caserta, città di grande fermento culturale. La sua voce impostata si prestava benissimo al testo regalatomi dallo scrittore Ivan Montanaro».

Mi commenti la frase che si trova al centro del libretto ‹… partenza il rumore della cerniera della valigia che chiude…›.

«Questa frase rappresenta la voglia di mettersi in gioco, rappresenta il movimento, il viaggio, la ricerca. Piccole grandi partenze».

Da dove parti e cosa ti lasci indietro?

«Sicuramente il mio è stato un percorso artistico particolare. Ho fatto parte di una rock metal band, T.R.B., da metà degli anni '80 fino al 1992, realizzando una compilation in Inghilterra e un album "Love on the rocks" distribuito allora dall'etichetta fiorentina Contempo Records. Ho tanti ricordi bellissimi. Poi è stata la volta della folk-rock band Nafta, con cui ho suonato in centinaia di concerti, fino ad approdare nel 2001 ai primi progetti solisti».

Qual è il messaggio del brano "Odio"? A me ha dato l'idea di essere una denuncia del problema dello smaltimento dei rifiuti che assilla da tempo tutta la Campania. Sbaglio?

«Il problema in Campania è gravissimo, la realtà supera l'immaginazione. Magari si trattasse solo di spazzatura, qui ci sono rifiuti tossici e tantissimi morti di tumore. Quando ho scritto il testo di "Odio" il problema non era ancora emerso in tutta la sua gravità. In realtà nel testo parlo di un fatto realmente accaduto. Mi trovavo in macchina, in tangenziale nella zona di Napoli e oltre al cemento, alle macchine e alle case a ridosso dell'autostrada, si vedeva in lontananza uno spicchio di verde, riflettevo e pensavo quanto l'ambiente, in quel caso claustrofobico e degradato, possa cambiare una persona, abbruttirla fino a generare odio».

Qual è la tua donna vestita di nero (dal brano "Sentinelle")?

«Nell'immaginario mi sono ispirato a un personaggio di Camilleri, quelle donne siciliane scolpite nella pietra. Nella realtà la nonna di mia moglie era così, viveva in un paesino della Lucania, dove tra l'altro hanno girato il film "Basilicata coast to coast". Una persona incredibile, forte e saggia, le ho voluto molto bene».

Come suonerà questo disco dal vivo?

«Sarà un sound elettro-acustico. La formazione sarà ridotta all'osso, anche per motivi di budget visto che i locali pagano sempre meno. Ci saranno due chitarristi: mio cugino Gianpiero Cunto che è con me da quasi dieci anni, e Dario Crocetta, entrato da pochissimo nel progetto e che nei live assicura una spinta fondamentale. Fiore all'occhiello sarà Mimì Ciaramella, batterista storico degli Avion Travel».

Sul libretto, nel consueto angolo dei ringraziamenti, spendi parole di affetto per Fausto Mesolella. Qual è il tuo rapporto con lui e quali consigli preziosi ti ha dato?

«Con Fausto ci conosciamo da quasi trent'anni. Nel 1991 produsse e suonò alcune chitarre nell'album di rock duro "Love on the rocks" dei T.R.B., eravamo dei ragazzini. È una persona a cui voglio veramente bene, un grande professionista, instancabile, uno dei più grandi chitarristi italiani di sempre. Ho avuto l'onore di dividere il palco con lui. Ci sono due brani prodotti da lui nel 2011 ancora nel cassetto. I consigli che mi ha dato sono di natura tecnica, preziosi. Mi ha fatto anche capire che oggi l'ultimo avamposto dei sentimenti sono le donne, sono loro che sono ancora capaci di slanci, non ne avevo dubbi».

Chiudo con una domanda cattiva: ha ancora senso fare dischi in un momento in cui se ne vendono sempre meno?

«Secondo me sì. Un disco è la fotografia di quello che sei nel momento in cui lo realizzi. È un fine insomma, la quadratura. La crisi delle vendite è allo stesso tempo un bene e un male. È un bene perché i personaggi di plastica se ne vanno a quel paese e poi perché, visto che non c'è più nulla da perdere, si osa di più. È un male perchè vent'anni di berlusconismo ci hanno portati alla cultura del karaoke e quindi al non approfondimento. Sicuramente il problema è planetario ma in Italia si è sentito di più proprio per i motivi che ho spiegato prima. Per promuovere un album oggi c'è un solo modo: suonare dal vivo e vendere il disco...».


Titolo: Piccole partenze
Artista: Vitrone
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(testi e musiche di Gennaro Vitrone)

01. Inverno
02. Arcobaleni
03. Ti ritroverò
04. Piccole partenze (prologo)
05. Piccole partenze
06. Ventiparole
07. Torno al giardino
08. Odio
09. Dellestate
10. Sentinelle



lunedì 3 febbraio 2014

Guitar Ray & The Gamblers scattano "Photograph"






La Liguria non è solo terra di grandi cantautori ma anche di ottimi bluesmen. La conferma arriva da Guitar Ray & The Gamblers che hanno pubblicato a metà gennaio il loro nuovo disco intitolato "Photograph". L'album è prodotto dal cantautore canadese Paul Reddick e contiene dieci inediti che uniscono il blues della tradizione a sonorità moderne. Brani in cui Ray Scona esalta il suo tocco chitarristico elegante, preciso e capace di improvvise e coinvolgenti accelerazioni. Un album riuscito, gradevole in ogni suo capitolo e capace di incuriosire anche chi non è appassionato di blues. Le canzoni, molte delle quali scritte da Paul Reddick, spaziano dal blues morbido al R&B, dal rock con incursioni funky, fino al territorio delle ballate.
In questa nuova avventura Ray Scona (voce e chitarra) si è fatto accompagnare dai fidi Gamblers: il bassista Gabriele "Gab D" Dellepiane, il tastierista Henry Carpaneto e il batterista Marco Fuliano. "Photograph" è arricchito inoltre dall'armonica di Fabio Treves, uno dei bluesmen italiani più celebrati, dagli archi dei genovesi Gnu Quartet che vantano collaborazioni con Niccolò Fabi, Federico Sirianni e Simone Cristicchi.
Guitar Ray & The Gamblers vantano un curriculum di tutto rispetto avendo collaborato tra gli altri con mostri sacri di fama internazionale come Big Pete Pearson, con il quale hanno inciso anche un disco, Otis Grand, Jerry Portnoy, armonicista di Muddy Waters ed Eric Clapton.
Con Ray Scona abbiamo parlato di "Photograph", il quinto album della carriera.




Ray, spiegaci come è nato l'album "Photograph"?

«Da un desiderio di rinnovamento e dalla voglia di trovare un suono riconoscibile per Guitar Ray & The Gamblers. Questo era l'obiettivo. Abbiamo quindi lavorato su brani originali e arrangiamenti che potessero essere la "fotografia" mia e di questa band».

"I'm goin, I'm goin" parla di partenze, di viaggio; "I heard that train go by" di un treno che divide due persone. Sono il viaggio, gli addii, le separazioni il filo conduttore di questo disco?

«Sì, ma non solo. Se vuoi una bella foto, devi saper mettere a fuoco quello che davvero ti interessa. Ho scelto di raccontare storie che conosco bene per essere in grado di mettere a fuoco quello che mi sta a cuore. Nello specifico "I'm goin, I'm goin" racconta il viaggio che contempla un ritorno. Mentre il suono del treno di "I heard that train go by" porta con sé un biglietto di sola andata».

In "Everybody wants to win" avete usato i fiati e il groove ricorda l'Albert King degli anni '70. Sei d'accordo?

«Assolutamente sì. Avevo già fatto un tributo ad Albert King nel mio album "Poorman Blues" con il brano "A.K. Stomp". Qui invece il riferimento è forte, ma come in tutto l'album siamo partiti da lì cercando di trovare un modo che ci fosse congeniale per suonare oggi un brano con quell'impronta. E comunque il suo periodo Stax è il mio preferito».

Trovo che sia molto riuscito il brano "You're the one". I Gnu Quartet hanno dato un tocco unico alla canzone. Come vi è venuta l'idea di avvalervi della loro collaborazione?

«Cercavamo qualcosa che desse un colore particolare a questo brano e così abbiamo deciso di sperimentare. Sin dall'introduzione è stata messa cura sulla scelta dei suoni da utilizzare, un lavoro che Simone Carbone ha fatto con grande gusto. Ma il brano necessitava di qualcosa che fosse davvero speciale, e così abbiamo pensato all'inserimento degli archi. L'arrangiamento scritto da Stefano Cabrera dei Gnu Quartet, si è rivelato come un bellissimo vestito da sera, indossato da una bella donna, ai miei occhi una meraviglia».

Il video di "He thinks of you", che trovo molto bello, si chiude con l'inquadratura di un foglio su cui c'è scritta la data 24-11-1984. Che significato ha?

«Sempre per restare fedele a quanto dicevamo prima, il brano che fa da colonna sonora a queste bellissime immagini, è stato rivisitato con sonorità più attuali rispetto alla sua versione originale, quella contenuta nel cd per intenderci. Ci serviva una data sulla fotografia per riuscire a far comprendere la storia che viene raccontata nel video di "He thinks of you", e avevamo una scelta obbligata sulla decade. Io ho scelto mese e giorno».

Il disco si chiude con "Bella bambina", un brano acustico cantato da Paul Reddick in italiano. Come è nata l'idea di questa canzone dall'atmosfera notturna?

«"Bella Bambina" è stato un regalo inaspettato. Il brano è nato in inglese con l'eccezione delle parole "Bella Bambina", ed è stato divertente sentirlo cantare in italiano. Io e Paul, quasi per scherzo, avevamo già provato a suonarlo, ma non era comunque in programma di registrarlo. Era uno degli ultimi giorni in studio e per quel giorno avevamo finito di registrare. Era molto tardi e dopo una cena abbastanza impegnativa, Paul mi ha chiesto di provare a fare un take con la band. Hanno collegato un paio di panoramici e quello che è successo lo abbiamo messo sul disco».

Paul Reddick, oltre ad essere produttore del disco, ha scritto anche alcuni testi della canzoni. Come si è sviluppata questa collaborazione e quanto ha inciso sull'uscita del disco?

«Ho conosciuto Paul nell'aprile del 2010, quando la band lo ha accompagnato nel suo tour europeo. Ci siamo divertiti un mondo. Mi piace moltissimo il suo modo di scrivere ed il suo approccio alla musica. Quando ho pensato a questo progetto mi è venuto immediatamente in mente il suo nome. Abbiamo parlato e Paul si è subito entusiasmato all'idea. Ha scritto praticamente tutti i testi, a parte "Everybody wants to win" che è stato scritto da Pete Pearson».

Oltre a Gnu Quartet, tra gli ospiti c'è anche Fabio Treves. Cosa mi puoi dire di questo incontro?

«Io lo conoscevo da sempre, lui mi ha conosciuto 25 anni fa. Fabio era ospite di una rassegna organizzata nella riviera ligure, dove abbiamo suonato insieme per la prima volta. Ho militato poi nella Treves Blues Band dal 1991 al 1993, ed è nata una bellissima amicizia. Casa Treves mi ha sempre sostenuto durante tutti questi anni di carriera, e oggi, insieme a Gab D, ho l'onore di essere stato invitato a prendere parte al suo tour teatrale che celebra i 40 anni di carriera della Treves Blues Band. Un incontro come ne capitano pochi».

Qual è il brano a cui sei più legato e perché?

«Questo è un album molto importante per me, e i brani hanno tutti un forte significato perché raccontano di me, del mio vissuto. Ma un sapore speciale è quello di "He think of you". Credo sia la fotografia più riuscita di questo album. Quando relazionarsi in questo mondo per qualcuno diventa più difficile che per altri, il bisogno di avere un legame che possa renderti felice, a volte non riesce ad essere soddisfatto. Si può però pensare a qualcuno che forse un giorno potrai conoscere, e che potrà scoprire come sei, ed amarti».

Quando sono state scritte queste canzoni?

«Ho cominciato a lavorare all'album agli inizi del 2012 e siamo entrati in studio nel febbraio del 2013. Non proprio una passeggiata».

Perché la scelta di una copertina in bianco e nero quando le canzoni hanno, al contrario, "colori" a volte unici e sfumature che personalmente mi piacciono molto?

«Ad aprile del 2013 avevamo in programma un tour europeo con Big Pete Pearson, a cui ha preso parte anche Michele Bonivento, che poi ha dato un contributo molto importante all'album, e noi eravamo in piena produzione. È stato un tour speciale perché in programma avevamo anche una data al Baltic Blues Festival di Eutin in Germania, dove eravamo headliners con Pete, ma in cartellone anche come Guitar Ray & The Gamblers. Quindi abbiamo avuto la possibilità di suonare live per la prima volta i brani del disco. Un momento importante per vedere la reazione del pubblico al nuovo spettacolo. Lo show è stato molto emozionante e di grande impatto. Ho avuto la copertina del magazine che si è occupato della rassegna. La foto sulla cover del cd, è uno scatto della fotografa tedesca Beate Grams di quello show, ed era uno scatto in bianco e nero, carico di significato. Mi è piaciuta l'idea che i colori fossero una cosa da scoprire».

Quali sono stati i tre incontri fondamentali della vostra carriera?

«Davvero difficile rispondere. Ognuno degli artisti che abbiamo accompagnato, o con cui abbiamo collaborato, hanno lasciato un segno. Ho imparato a suonare la lap-steel dal grande Sonny Rhodes nel lontano 2001. Accompagnare in tour Jerry Pornoy, che ha suonato nella Muddy Waters Band, nei dischi e nei tour di Eric Clapton, è stata una scuola incredibile. Collaborare con ognuno di loro è stata una bellissima esperienza, ma se devo scegliere tre nomi allora ti dico Fabio Treves, per il rapporto di amicizia che ci lega, Otis Grand, che ha prodotto i miei primi due cd, e Paul Reddick a cui ho affidato la produzione artistica di "Photograph"».


Titolo: Photograph
Artista: Guitar Ray & The Gamblers
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2014