martedì 17 giugno 2014

Federico Bagnasco e "Le trame del legno"





"Una coraggiosa e intima esplorazione sonora nel mondo del contrabbasso". Ha usato queste parole Paolo Fresu per descrivere il disco d'esordio, in veste di compositore e solista, del musicista genovese Federico Bagnasco. Ne "Le trame del legno", questo il titolo dell'album, il suono del contrabbasso e la sperimentazione elettronica curata da Alessandro Paolini si fondono in un abbraccio sonoro non convenzionale. Elettronica, mai invadente, che sviluppa ed enfatizza i suoni del contrabbasso e le capacità e la fantasia dello strumentista rendendo possibili soluzioni inaspettate e creando un universo sfaccettato sempre godibile. Le canzoni, tutte inedite, si susseguono con estrema naturalezza dando vita ad un incessante fluire, ricco di colori e suggestioni. Un suono puro e cristallino che rapisce l'ascoltatore mantenendo una costante tensione sia in occasione di brani più ritmici che in divagazioni oniriche.
Federico Bagnasco è artista poliedrico che ha lavorato in diversi ambiti: dall'orchestra a formazioni cameristiche, dall'accompagnamento di cantautori allo studio della musica antica e contemporanea, da occasionali incontri in ambito jazz e folk all'impegno in spettacoli teatrali. Tutta questa varietà di esperienze e studi ha permesso al musicista genovese di sviluppare un linguaggio personale e un approccio alle diverse tecniche del contrabbasso che trovano la giusta esaltazione in questo album.
Ce ne parla lo stesso Federico Bagnasco in questa intervista.




Federico, complimenti per il disco. Devo riconoscere che al giorno d'oggi, in cui alla musica si dà un veloce ascolto, ci vuole coraggio a produrre un album come il tuo...

«Credo che in questo momento in Italia ci voglia coraggio a scegliere di fare il musicista e a perseverare nella scelta, ciò a prescindere dal mio album. Se uno è forte (o debole) di questa scelta e dei sacrifici che ne conseguono, il resto è un coraggio leggero, lieve, uno dei tanti che si compiono
inevitabilmente quando si agisce. Il mio è un progetto un poco anomalo, me ne rendo conto, ma per altri versi potrebbe essere più coraggioso, o altrettanto coraggioso, esporsi con qualcosa di più conforme allo standard, più paragonabile al conosciuto, più facilmente sottoponibile al giudizio altrui. Se d'altra parte il coraggio è corrispondente all'azione dell'osare, del mettersi in discussione ed esporsi con qualcosa di differente, fuori standard, allora potete anche darmi del leone, o per non esagerare, quantomeno del gatto selvatico».

Dicono che i musicisti debbano avere una buona dose di pazzia nel loro dna. Pensi anche tu di far parte di questa categoria?

«Francamente sì, seppur moderatamente e in maniera adeguatamente controllata. La pazzia è l'altra faccia del coraggio e, come sopra accennavo, in questo paese e in questo momento storico, diventano entrambe caratteristiche imprescindibili di questa professione, o forse più in generale di chiunque voglia fare un qualsiasi lavoro seriamente e con passione. E la pazzia, è risaputo, spesso è anche l'altra faccia della passione».

Come ti è venuta l'idea di registrare un disco puntando solamente sui suoni del contrabbasso e un po' di elaborazioni elettroniche?
 

«L'idea è nata lentamente un bel po' di anni fa: ho aspettato le circostanze favorevoli per metterla in pratica, cioè un po' di soldi da parte e un po' di tempo da investire. Credo che alla base ci sia stato un bisogno di fare tutto un lavoro in solitario e senza dover rendere conto a nessuno, una sfida, quasi, con i miei mezzi e i miei limiti. Il mio lavoro di musicista mi porta ovviamente a mettermi innanzitutto al servizio dell'arte altrui, di una musica scritta, di un artista da accompagnare, di un gruppo di cui esser parte, di un contesto, di un datore di lavoro. A un certo punto ho voluto provare a mettermi in gioco e vedere cosa ne usciva; ho aspettato finché il desiderio non ha assunto un carattere di urgenza e dunque ho agito. Ho inoltre sempre avuto una forte attrazione per il lavoro in studio di registrazione: la possibilità di fermare la musica, di fissarla, di rubarne l'ineffabilità che le è propria, e creare qualcosa che rimane, costruire l'opera così come il pittore fa il quadro o lo scrittore il libro, senza intermediari (o meglio concedendo questo ruolo soltanto all'apparecchio riproduttore, allo stereo di chi ascolta). Una volta accettato che un disco è un'operazione artificiale, che poco ha a che fare con la musica suonata dal vivo, il passo per manipolare a posteriori del materiale suonato è breve, e si enfatizza così l'aspetto da artista-demiurgo che plasma e manipola se stesso, correggendosi, cambiandosi, comandando e "gestendo il tempo". Il contrabbasso è il mio strumento, che studio da anni e con il quale lavoro e mi esprimo, dunque, in coerenza con quanto detto sopra e in un'ottica ovviamente anche di risparmio, evitando di coinvolgere altri strumentisti, l'idea si è palesata da sé. Imponendomi una coerenza dal non usare materiale sonoro che non derivasse dal contrabbasso, mi sono lasciato libero di poter avere diversi approcci dal punto di vista compositivo ed esecutivo; questo è stato un altro importante stimolo».

Devo ammettere che quando mi hai parlato del disco ero un po' scettico e invece mi sono dovuto ricredere: è un album stimolante, per niente noioso, e cresce con l'ascolto senza essere ripetitivo. Qual è il segreto?

«Spero che questa tua sensazione possa essere condivisa anche da altri ascoltatori, io ho fatto il possibile perché sia così! Credo che il segreto, per così dire, sia legato a una certa facilità che io personalmente ho ad annoiarmi: qui ho cercato di fare qualcosa che innanzitutto non annoiasse me. Ogni brano ha una storia e un percorso diverso, un differente approccio con lo strumento o con l'elettronica, e ciò dà molta varietà al lavoro nel suo complesso, pur mantenendo una coerenza sotto il profilo timbrico, poiché ogni suono è generato dal contrabbasso. Inoltre i brani sono mediamente brevi, una media di circa tre o quattro minuti, con la sola eccezione di "Residui" di sette minuti, e anche questo credo contribuisca a evitar la noia».

Quanto c'è di improvvisato in questo disco e quanto di studiato a tavolino?

«Difficile dirlo. Anche perché c'è molta improvvisazione studiata a tavolino. Ci sono almeno tre brani scritti e definiti già prima di entrare in studio, e altri cinque solo parzialmente scritti o adeguatamente già strutturati; anche in questi casi il lavoro in studio giocando con l'elettronica ha contribuito molto alla ri-creazione dei brani. Il resto è completamente nato in studio: improvvisando e manipolando poi le improvvisazioni, improvvisando con l'elettronica in tempo reale - in live electronic- modellando a tavolino il materiale registrato. Un work in progress».

Quando sei entrato in sala di registrazioni avevi ben presente il risultato che volevi raggiungere?

«No, lo avevo presente all'incirca. Mi era chiara la modalità di lavoro, i limiti del lavoro, gli obiettivi che volevo raggiungere e il tipo di suono e di ricerca sul suono che volevo "rappresentare". Il risultato finale mi si delineava man mano che il lavoro procedeva, mi sono preso tutto il tempo di cui sentivo il bisogno, per capire innanzitutto cosa stavo cercando, e poi per trovarlo».

Come si sono svolte le sessioni di registrazione e quanto sono durate?

«Sono durate moltissimo, un modo di lavorare molto poco consueto oggigiorno. Abbiamo lavorato fondamentalmente in tre sessioni di circa un mese ciascuna, quando impegni personali o professionali, miei o di Alessandro o dello studio, non imponevano altrimenti, comunque per un totale che supera le cento ore di studio; più un breve periodo a mesi di distanza per il suono e il mixaggio complessivo. Ciò che ha reso possibile tutto è stata la collaborazione con Alessandro Paolini, e in particolare la sua disponibilità - seconda solo alla sua competenza - nel venirmi incontro per la realizzazione del tutto. La modalità di ogni sessione di lavoro la decidevo man mano, ma il grosso è stato fatto davanti al computer, valutando assieme e sperimentando diverse soluzioni. Il risultato finale è frutto di diverse scelte: un bel po' di materiale registrato non è stato poi utilizzato, così come qualche tentativo di manipolazione non ci ha convinto e non lo abbiamo portato a termine».

Ottimo disco, dicevamo, ma ha un limite: l'impossibilità di suonarlo dal vivo. Non pensi che questo possa rappresentare un problema?

«Sì, un enorme problema, soprattutto perché oramai i cd si vendono più che altro ai concerti! Infatti ho intenzione di trovare la soluzione al dilemma, e sto iniziando a preparare la versione live del progetto: alcuni brani potranno essere eseguiti con adeguata manipolazione elettronica in tempo reale, abbastanza fedeli al cd, altri subiranno delle opportune modifiche. Non si sentiranno soltanto delle differenze rispetto al disco, la mia intenzione è quella di sfruttare uno spazio sonoro in quadrifonia e un adeguato supporto di subwoofer, tutti particolari che l'ascolto casalingo o in cuffia non può fornire. Sarò accompagnato ovviamente da Alessandro, anche in veste di secondo contrabbassista - …ci siamo conosciuti proprio perché compagni di studi ai tempi del conservatorio - e da Emilio Pozzolini come altro musico elettronico. Il mio suono verrà manipolato in tempo reale in diverse maniere. Tutto è ancora da preparare, ma nelle mie intenzioni, vorrei presentare il cd questo autunno in diverse città, vedremo…».

Che cosa vorresti che le persone sentissero nella tua musica?
 

«Mi ritengo già soddisfatto se la sentono, o meglio se la ascoltano, come è sempre più difficile che accada. Come rilevi tu nella tua prima domanda c'è oramai la tendenza a un ascolto molto superficiale della musica; siamo circondati da un sacco di stimoli musicali, al limite, o forse già oltre il limite, dell'inquinamento acustico, eppure raramente siamo capaci di fermarci o soffermarci ad ascoltare. Oggi la modalità più comune di fruire della musica avviene su Youtube, magari perdendosi nei dettagli visivi, nei commenti, nello spazio di un social network, credo che questo sia abbastanza significativo».

C'è un episodio che ha dato il via a questa avventura?
 

«Francamente non saprei, direi che è stato un bisogno crescente di un'idea che prendeva forma mentre spingeva per realizzarsi».

Dove speri che possa portarti questa esperienza discografica?

«Spero possa essere un biglietto da visita per future collaborazioni, magari per altri lavori in studio, o per concerti. Ma non mi sono posto molto il problema delle aspettative, è un lavoro che ho fatto innanzitutto per me, una cosa che avevo in testa e che avevo bisogno di buttar fuori, ovviamente nella speranza che possa interessare, incuriosire o rapire un possibile ascoltatore».

Ascoltando il disco ho immaginato di adattare le canzoni a un film, magari a un thriller o a un film che analizza la psicologia dei personaggi. Hai mai pensato di scrivere musiche per film?

«Sì, e mi piacerebbe molto. Per il momento ho fatto poche cose simili, un cortometraggio, un documentario non ancora pubblico, la sonorizzazione di una mostra, oltre ad avere collaborato con alcuni compositori per musica da film. Io ci penso insomma, ma bisogna anche che qualcuno che fa film pensi a me, perché ciò accada. In ogni caso mi farebbe piacere che alcune tracce di questo album possano essere adoperate in qualche contesto, magari per film, per installazioni, per coreografie, secondo me si prestano e io sono ben disposto a prestarle».

Quale sarà il prossimo passo nella tua carriera artistica?
 

«Come già ho accennato: la versione live di "Le trame del legno"; un altro progetto a cui sto già lavorando, la produzione di un audiolibro con musica; alcune ricerche musicologiche sulla storia del contrabbasso. Questo è un altro settore che mi ha molto impegnato in prima persona».

Quali sono i pro e i contro di essere un solista?

«Nell'accezione in uso nella musica classica, "solista" è un termine che è ben distante dalla mia persona - di solito si intendono quei pochi musicisti che si esibiscono abitualmente come concertisti in recital o concerti solistici con le orchestre - e francamente anche grandissimi contrabbassisti che conosco ci vanno abbastanza cauti nel definirsi solisti. In un senso più generico posso dirti che proporre un progetto da leader o addirittura in solitario, può essere prima di tutto una fonte di soddisfazione, e inoltre, se il risultato prodotto riesce ad avere un suo mercato, ovviamente il guadagno può essere maggiore rispetto a musicisti al servizio di progetti non propri. I contro sono legati innanzitutto allo sforzo e all'investimento che bisogna fare per la realizzazione del progetto, e all'esposizione che si crea, il "metterci la faccia", la responsabilità, insomma. Solitamente si tratta di un impegno maggiore, di una maggiore difficoltà sotto il profilo tecnico-strumentale, ed esecutivo in senso lato. A ciò si aggiungono tutti gli aspetti organizzativi, di produzione e di promozione, se non si è seguiti da qualcuno e se non si dispongono di liquidità da investire ulteriormente in questi aspetti. Ma qua mi fermo, giacché non vorrei alimentare luoghi comuni sui genovesi e l'attenzione al denaro. Al di là di qualsiasi contro, è forte il piacere nel produrre qualcosa che ti appartiene e che è parte di te, e che può essere consegnata ad altri e condivisa; è un modo per rapportarsi con gli altri, per comunicare; è un gioco, tutto sommato, che fa star bene».



Titolo: Le trame del legno
Artista: Federico Bagnasco
Etichetta: Old Mill Records
Anno di pubblicazione: 2014



Tracce 
(musiche di Federico Bagnasco, eccetto dove diversamente indicato)

01. Spire
02. Apnea
03. Tempo al tempo
04. Coincidenze combinate [Federico Bagnasco e Alessandro Paolini]
05. Sbracato snob
06. I am sitting in a bass [Federico Bagnasco e Alessandro Paolini]
07. Velato
08. AbIpso
09. Sterpi e frattaglie [Federico Bagnasco e Alessandro Paolini]
10. Legno pesante [Federico Bagnasco e Alessandro Paolini]
11. In Vano [Federico Bagnasco e Alessandro Paolini]
12. Comunque
13. Residui
14. Lunari di Giada



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