martedì 26 agosto 2014

"Marinere", il viaggio di Sergio Arturo Calonego





Si chiama Sergio Arturo Calonego e il suo "Marinere" è un disco per viaggiare, magari in perfetta solitudine lungo la strada fotografata in copertina. Pubblicato dal musicista milanese dopo l'esperienza con gli Arturo Fiesta Circo, l'album d'esordio accompagna l'ascoltatore in un percorso sonoro verso un orizzonte lontano in cui le note della chitarra sono gli unici punti di riferimento del paesaggio. Canzoni in cui compaiono solo raramente la voce dello stesso Calonego e di Sara Maria Giolfo, quasi esclusivamente a colorare melodie e arpeggi chitarristici. Il resto sono note di chitarra, suonata da Calonego in maniera sopraffina utilizzando tecniche percussive miste, basslines e tapping.
"Marinere" non è un disco da sentire distrattamente ma da ascoltare con attenzione per cogliere l'essenza espressiva e interpretativa di questo artista che non è passato inosservato alla critica (Premio Targa Siae 2014) e agli addetti ai lavori. Tanto che in questi giorni è stato coinvolto nel progetto "Happy birthday Grace", disco che celebra il ventennale della pubblicazione di "Grace", il disco capolavoro di Jeff Buckley. L'album tributo, registrato, mixato e masterizzato da Roberto Rizzi e Daniele Cetrangolo al QB Music Studio di Milano, è scaricabile gratuitamente da questo link http://goo.gl/N1FtI9
Abbiamo intervistato Sergio Arturo Calonego durante la registrazione della buckleyana "Lilac wine", un blues in cui la chitarra e la profonda voce folk del musicista milanese trovano massima espressività.




Sergio Arturo Calonego. Chitarrista o cantautore?

«Non credo siano cose tanto diverse. Personalmente quando scrivo, sia brani con testo che strumentali, cerco comunque di tradurre una storia o un'immagine. Non subisco più di tanto il fascino delle definizioni in sé. Personalmente mi trovo molto a mio agio nella definizione simpatica, spero nelle intenzioni, che mi è stata data di "acoustic sailor" (navigatore acustico, ndr) nella quale mi ritrovo molto perché credo definisca bene il mio approccio alla chitarra acustica».

La tua carriera è iniziata però con gli Arturo Fiesta Circo...

«In realtà ho iniziato molto prima, alla fine degli anni '80, sul finire della "Milano da bere". Ho suonato per molto tempo blues. Lo dico con un pizzico di orgoglio: sono uno di quelli che può dire di aver avuto il privilegio di aver suonato al Capolinea di Milano. Ho avuto la fortuna e l'onore di conoscere musicisti splendidi da cui ho imparato molto. Arturo Fiesta Circo è stata una cavalcata bellissima, di cui sono orgoglioso ancora oggi, iniziata nel 2007. Con il "Circo" ho approfondito il linguaggio dei cantautori. L'Arturo Fiesta Circo è stata un'esperienza preziosa che ha arricchito molto il mio bagaglio personale e quello di tutti i musicisti che hanno partecipato a questa avventura musicale che ci ha portato a suonare per tutta l'Italia».

Con l'album "Marinere", il primo a tuo nome, hai convinto la critica. La chiamata del Club Tenco e la Targa Siae cosa hanno cambiato nella tua carriera artistica?

«Con "Marinere" effettivamente è successo qualcosa che non ho capito bene neppure io. Ho registrato questo disco veramente a titolo personale e con una dichiarata intenzione d'archivio. E poi è successo che ho vinto una Targa Siae 2014, che mi è stata consegnata da Mogol in persona, e questa cosa mi ha dato una visibilità che non avevo mai avuto prima e che sicuramente ha anche sdoganato alcune occasioni e soprattutto alcuni giudizi molto lusinghieri nei miei confronti. Con il Club Tenco il discorso è un po' diverso perché sono persona conosciuta da tempo, ben prima della Targa Siae. Quello che mi ha sorpreso in Club Tenco non è stato l'invito ma l'accoglienza ricevuta; mi sono esibito da solo con questo formato che si posiziona fra quello del cantautore e quello del chitarrista acustico fingerstyle eppure l'accoglienza del pubblico del Tenco è stata davvero bella e mi ha sorpreso. Sono davvero riconoscente ad Antonio Silva ed Enrico de Angelis per avermi dato questa bellissima opportunità».

Sono arrivati anche i complimenti di Davide Van De Sfroos. Cosa ricordi e cosa ti ha lasciato a livello emotivo tutta questa notorietà?

«A livello umano mi è rimasto tanto. Davide Van De Sfroos è un musicista molto colto e, soprattutto, uomo cordiale ed elegante. La sua presentazione del mio set acustico a Monza in una Piazza Trento gremita di gente mi ha lusingato non poco e ti assicuro che non era assolutamente preparata né scontata. Detto questo però io devo dirti che vivo una condizione un po' diversa da quella dei musicisti pop. Vivo profondamente ed intimamente la necessità di migliorarmi come musicista e di approfondire ed espandere le potenzialità della "chitarra acustica contemporanea" - cito l’amico chitarrista Davide Sgorlon -; sento il dovere di scrivere musica di qualità e di pretendere da me stesso il massimo a livello di composizione ma del resto non mi cruccio più di tanto. Sono tutto tranne che un presenzialista, non credo di essere un personaggio molto mediatico e sono cordialmente disinteressato a cose tipo la notorietà fine a se stessa. Non fosse così avrei fatto scelte diverse e sono perfettamente consapevole che "Marinere" non è esattamente un disco per tutti».

Davide Van De Sfroos ha detto che il tuo modo di suonare la chitarra è come avere un laser e allo stesso tempo una fiamma ossidrica. Spiegaci questa tua tecnica.

«Davide è un cantautore che scrive testi di rara profondità per i giorni d'oggi ma è pure un chitarrista ritmico assolutamente credibile e convincente. Non è un virtuoso ma Davide la chitarra la suona bene. Detto questo il primo a essere sorpreso della presentazione che mi ha fatto sono stato io perché con Davide ci ho passato il pomeriggio ma non avevamo davvero preparato nulla. Per cui sentirgli citare nomi quali Michael Hedges o Tuck Andress mi ha lusingato e sorpreso allo stesso tempo perché in realtà abbiamo parlato più dei nostri figli che di chitarre. Credo volesse dire che sono preciso ed ho una buona tecnica di base. Innanzitutto io non utilizzo effettistica, loop o raddoppiatori di note per cui tutto quello che senti è veramente una chitarra acustica con l'aggiunta di un po' di riverbero. Chi si accorge subito di queste cose, solitamente, sono i fonici al check sound. Restando sulla tecnica della chitarra sgombero subito qualsiasi dubbio: tutti i chitarristi che sperimentano la percussività sulla chitarra acustica sono debitori con gente come Michael Hedges, Preston Reed, Don Rossed, io non faccio eccezione. Devo però riconoscere che il mio riferimento, chitarristicamente parlando, è Pierre Bensusan, un compositore e chitarrista franco-algerino a cui devo tanto in termini di ispirazione e consapevolezza. Paradossalmente la mia scelta di accordare la chitarra in DADGAD nasce lontano dai dischi di Bensusan, che è indiscutibilmente il maestro di questa accordatura, e più precisamente nella bottega di Paolo Zanni, mio amico e liutaio di fiducia. È lui in realtà che mi ha introdotto alla chitarra acustica e che mi ha fatto conoscere la musica di maestri quali John Renbourn. Per il resto devo dirti che, al di là della tecnica individuale, quello che conta nella musica sono le immagini o le storie che si ha intenzione di evocare. Viceversa un concerto di chitarra acustica, come qualsiasi tipo di concerto, rischia di risultare sterile e noioso».

Il tuo disco, "Marinere", ha avuto una genesi molto particolare. Ce la vuoi raccontare?

«"Marinere" in realtà doveva essere una demo "di classe". La verità è che è diventato un disco strada facendo. L'ho registrato in tre giorni con l'aiuto di Dario Ravelli (SuonoVivo / Bergamo) che è stato fonico e costruttore del suono dei concerti italiani di musicisti fantastici quali Gianluigi Trovesi, Jack DeJohnette, Robben Ford, Enrico Rava, Stefano Bollani, Jim Hall, Archie Shepp, Dave Holland e Pierre Bensusan. Abbiamo registrato la chitarra in una sala molto ampia, tutta in legno, adatta alla registrazione delle orchestre, per questo motivo il suono è così caldo e profondo. Insomma, alla fine il suono era bellissimo, l'esecuzione pulita e l'intenzione narrativa convincente: era un disco. A quel punto ho dovuto rincorrere le cose e fare, ex post, tutto quello che solitamente si deve fare per un disco: copertine, ufficio stampa, comunicati, fotografie, presentazioni... E da allora non mi sono ancora fermato. Colgo l'occasione per ricordare che "Marinere" è disponibile in versione digitale su tutte le principali piattaforme web mentre chi, romanticamente, desiderasse il supporto fisico potrà acquistarlo direttamente dal mio sito: www.calonego.it».

A chi sono dedicate queste canzoni?

«Le canzoni a nessuno. Il disco sì. "Marinere" è dedicato alle donne che "hanno saputo, sanno e sapranno aspettare". Il termine "Marinere" in realtà non esiste, è un'invenzione letteraria. Vuole essere un richiamo alle donne di mare, donne antiche, pazienti ma mai stupide. Donne che sanno essere forti, pazienti ma determinate. Donne che sanno cosa vogliono essere e che vogliono solo essere quel che sono. Donne mitiche, invincibili e dolci allo stesso tempo. Queste sono le immagini evocate in questo disco».

"Non ti crucciar" è forse il brano che più si differenzia dal resto del disco...

«"Non ti crucciar" è stato come inciampare la domenica mattina in una colazione che per le strade è già primavera. Una colazione all'aperto che ben ti dispone al sorriso. In realtà quando sei uscito di casa pensavi si trattasse di un giorno qualunque. Ma ti accorgi che non è così. È un giorno speciale e dicidi di viverlo così, senza farti troppe domande. Spiegar canzoni non è mai stato il mio forte».

Un disco intimo, per certi versi non immediato ma talmente ricco di suggestioni e spunti che invita a protrarre l'ascolto nel tempo. Ti aspettavi di raggiungere questo risultato?

«Rischiando di essere considerato un po' presuntuoso la risposta è sì. Perché questa intenzione è stata fortemente immaginata, perseguita e, mi permetto, cercata nel posto giusto che è il suono; perché al di là di quelli che possono essere i gusti personali, che non discuto, una chitarra acustica suona così oggi, suonerà così domani e suonava così anche ieri. Ho fortemente corteggiato questi colori perché desideravo un disco che non sfiorisse nel tempo. "Marinere" è così lontano dalle mode e dalla modernità che fra cinquant'anni suonerà nello stesso modo, e questo era esattamente quello che volevo che fosse».

Ci sono aspetti che ora vorresti cambiare nel tuo album?

«No!».

Artisticamente il tuo viaggio come proseguirà?

«Mi piace che mi parli di viaggio e non di progetti. Credo di più ai viaggi che ai progetti. Mi piace e ti ringrazio per la domanda perché mi permette di chiarire un paio di cose che mi stanno davvero a cuore. Prima di tutto mi piace risponderti che mi sento di dover proseguire con lo studio e l'approfondimento del mio strumento, la chitarra acustica. Intuisco un ampliamento della sua capacità espressiva in questo formato "one man orchestra" che ormai mi è stato cucito addosso. Artisticamente parlando il mio viaggio va in questa direzione. Dal punto di vista "rituale" invece devo dirti che mi sento lontano dalle liturgie consolidate dell'ambiente musicale mainstream, pop, indie. La visibilità che ho avuto in questi mesi mi ha molto gratificato e mi ha sicuramente aiutato a sdoganare alcune situazioni, questo non lo nego, ma non mi ci sono affezionato. Prevedo quindi mesi piuttosto silenziosi e di ricerca. Devo ammettere che con tre bimbi piccoli la sonorità che ci culla quotidianamente in casa rimanda più a un mercato di Marrakech che ai silenzi di una notte Himalayana ma io ho una grande capacità di astrazione e, soprattutto, dimestichezza con radici e luoghi dell'anima che sono sospesi fra la Val Cavallina e la Val Camonica. La maggior parte del mio materiale nasce lì. Sento il richiamo di queste valli e del loro silenzio autentico. Queste sono le coordinate, il viaggio poi si vedrà. Ho imparato a viaggiare senza troppe aspettative o programmi; quindi qualche concerto laddove richiesto e poi tanto studio».

Raccontaci qualcosa di "Baby", la tua chitarra acustica…

«"Baby"… Los Angeles è una città strana. Non si può dire che sia una bella città, eppure ha una luce tutta sua. Ricordo perfettamente questo cielo azzurro che sorride strano. "Baby" l'ho incontrata lì, a Los Angeles un po' per caso ed è stato amore a prima vista, come con quella città. Si tratta di una Martin HD28 una chitarra tradizionalmente votata al bluegrass ma io mi ci trovo bene anche se suono un altro tipo di musica. Ci sono chitarre molto più adatte al fingerstyle, lo riconosco, eppure nel tempo i suoi difetti sono diventati dei pregi. Ho imparato a dosare la sua voce potente e a utilizzare la potenza quando serve; ho imparato a usare bene la mano destra che è determinante nella gestione delle frequenze perché le nostre dita sono il miglior equalizzatore disponibile sul mercato. Le dreadnought sono considerate chitarre abbastanza scomode da suonare, e un fondo di verità in questa fama c'è, ma io ho trovato questa postura a metà fra il chitarrista flamenco ed il messicano che fa la siesta che forse è un po' irrituale ma alla fine risulta molto efficace perché mi permette di avere a portata di mano tutto lo strumento. Questo aspetto è molto importante se, come nel mio caso, utilizzi la chitarra acustica anche in funzione percussiva. E poi "Baby" ha un sorriso bellissimo. È una donna matura, gentile ma determinata. Sa benissimo quello che vuole e soprattutto quello che non è e che non vuole essere. Risultato finale è che quando la accarezzi lei sussurra ma se le chiedi di più, te lo sa dare».



Titolo: Marinere
Artista: Sergio Arturo Calonego
Etichetta: Via Audio Records
Anno di pubblicazione: 2013


Tracce
(Testi e musiche di Sergio Arturo Calonego)

01. Solisud
02. Suite R.
03. Marinere
04. Selina
05. Non ti crucciar
06. Saint Malo
07. Sotto la pioggia
08. Donegal



venerdì 22 agosto 2014

Fabio Balzano canta e suona "...per 10 minestre"






L'amore per la musica di Giorgio Gaber, Paolo Conte, Adriano Celentano fino ad arrivare a Vinicio Capossela a formare il fertile substrato, la parentela di sangue con la grande Rosa Balistreri, e la voglia di illustrare l'attualità con ironia, sarcasmo e poesia sono gli ingredienti di "…per 10 minestre", album d'esordio del cantautore fiorentino Fabio Balzano. Un disco in cui fotografie di un mondo in decadenza, dai colori a forte contrasto, si sposano a trame fiabesche. Il tutto prodotto da Gianfilippo Boni che ha saputo creare una miscela musicale che cattura e trascina l'ascoltatore in un travolgente giro di giostra. Un grande luna park di ritmo e imprevedibili citazioni in cui si spalancano ambienti jazz, popolari e manouche. I testi raffinati e la voce calda e ricca di teatralità di Balzano completano l'anatomia di questo disco d'esordio che si colloca tra i più interessanti e riusciti del 2014.
Un grande contributo lo hanno dato i musicisti chiamati a collaborare a questo progetto. A iniziare da Maurizio Geri, una delle anime di Banditaliana, il cui tocco di chitarra risulta essere fondamentale per tracciare l'intelaiatura delle canzoni. A completare il ricco elenco di collaboratori sono Gabriele Savarese (chitarra, mandolino e violino) e Mirco Capecchi (contrabbasso), già ospiti delle produzioni di Riccardo Tesi e Banditaliana, Andrea Melani (batteria), Nicola Cellai (tromba), Giacomo Tosti (pianoforte e fisarmonica), Marco Zenzocchi (basso), Claudia Borghesi (cori) e Simon Chiappelli (trombone) già al fianco di Paolo Benvegnù.
Dieci canzoni, dieci modi di vedere la realtà che analizziamo in questa intervista con la fondamentale collaborazione di Fabio Balzano.



Chi è Fabio Balzano?

«È una persona un pò balzana».

Ti presenti al pubblico con un disco dal titolo curioso: "…per 10 minestre". Che cosa rappresenta?

«Mi sono ispirato vedendo un documentario sulla vita del pittore Ligabue che cedeva i suoi quadri in cambio di qualche minestra. Rappresenta anche la volontà di parlare in almeno dieci modi diversi per poter raggiungere più persone possibili; le dieci minestre sono anche gli spiccioli che vengono dati all'arte; le dieci minestre sono dieci diversi sapori, le dieci minestre sono dieci "scomodamenti"».

Gaber, Paolo Conte, Capossela sembrano essere le tue fonti di ispirazione primarie. Sei cresciuto sentendo la loro musica o è stata una evoluzione?

«Quando ero piccolo mi addormentavo con Renato Carosone e Renzo Arbore in cuffia ma non sapevo nemmeno chi fossero. Poi, quando ho iniziato a studiare chitarra, mi sono avvicinato alla musica americana, alla fusion nera, ad artisti come Billy Cobham, Herbie Hancock, John Scofield. In seguito mi è capitato di ascoltare un paio di brani, "Canto e cunto" e "Cu ti lu dissi", della zia di mia madre, la cantautrice folk siciliana Rosa Balistreri; da quel momento ho iniziato a interessarmi solo al mondo del cantautorato italiano, partendo da Carosone per arrivare a Vinicio Capossela. In queste sonorità ho trovato un mondo che mi ha permesso di esprimermi come più ho desiderato, avvicinandomi alle mie stesse origini e tornando quindi a cantare anche le canzoni di Rosa».

Decisivo per la nascita di questo disco sembra essere stato l'incontro con Gianfilippo Boni. Ci racconti come è avvenuto e cosa ha dato al progetto?

«L'incontro con Gianfilippo è avvenuto grazie al contatto passatomi da un'amica in comune dopo che ha ascoltato, attraverso il telefono cellulare, le mie povere tracce di chitarra e voce. Le ho chiesto se conosceva qualcuno che mi poteva aiutare a registrare queste canzoni e lei mi ha indicato Gianfilippo Boni. Anche lui ha ascoltato i pezzi al cellulare e subito dopo mi ha proposto di fare un disco, e così abbiamo iniziato le registrazioni. Lavorare con Gianfilippo è stato facile dato che avevamo ben chiaro il risultato che volevamo ottenere, poi via via che il progetto ha preso forma è stato anche divertente! Per non parlare di quanto ho imparato in più di un anno di lavoro».

Con immagini evocative dipingi un mondo in decadenza. È questa la tua visione della società attuale?

«La mia è una visione, ce ne sono anche altre. Comunque basta pensare al significato stesso della parola società e a quanto in realtà applichiamo l'esatto contrario, in una forma di sterilizzazione e individualismo che realmente non aiuta nessuno. Capita spesso di stare, ad esempio, al tavolo con persone che invece di dialogare, hanno gli occhi fissi sui loro cellulari e puoi stare certo che l'unica informazione che riceverai sarà la data di acquisto del prossimo telefono. Insomma, mi pare che ci sia una tangibile dispersione e confusione nella società d'oggi. Si cerca, con estrema velocità, un'identità sempre più difficile da trovare, fino ad essere "barattoli di informazioni" e sempre meno individui con idee proprie basate su conoscenze esatte».

La figura femminile è molto presente nelle tue composizioni. Che rapporto compositivo hai con l'altra parte dell'universo?

«Sono tutte canzoni e "la canzone" è femminile! Il contrasto tra l'uomo e la donna e ciò che serve a sottolineare il continuo confronto, quindi la continua crescita, la scoperta dell'altra parte dell'universo. È attraverso la donna che si impara la vita».

In questo disco ti avvali di un nutrito gruppo di ospiti tra cui Maurizio Geri, chitarrista di Banditaliana. Cosa ti ha insegnato?

«Lavorare con Maurizio Geri è stato come assistere a un seminario sui tuoi stessi brani. Mi ha permesso di capire tanto e di crescere».

Ci presenti anche gli altri componenti della band che hanno contribuito alla realizzazione di "…per 10 minestre"?

«Certo! Andrea Melani, grande batterista, suonare con lui è divertimento e dottrina, il trombettista Nicola Cellai, il bassista Marco Zenzocchi con cui sin dall'inizio abbiamo lavorato e poi rodato le strutture dei brani, Giacomo Tosti che ha registrato sia il piano che la fisarmonica, Gabriele Savarese al violino, alla chitarra e al mandolino. Al contrabbasso Mirco Capecchi, più la voce di Claudia Borghesi e il trombone di Simon Chiappelli a rifinire. E un singolo intervento, nella decima traccia del disco, di Gianfilippo Boni».

Esordire a 35 con un disco in un momento in cui il mercato è saturo ha ancora un senso? Perché lo hai fatto?

«Questa è la domanda che mi facevo anche io e in realtà ci ho scritto anche una canzone che propongo dal vivo. È un valzer e si intitola "Valse la lagna…?" Forse no o forse sì ed è proprio questo che mi incuriosisce. La passione che provo per questo mondo non mi avrebbe mai permesso di non farlo».

Quando ti sei avvicinato alla musica?

«Molto tardi, a 17 anni quando ho comprato una chitarra elettrica e e ho iniziato a suonare con gli amici».

Qual è la canzone italiana che preferisci?
 

«"Storia d'amore" di Adriano Celentano».

Secondo te quale tra espressività, capacità tecnica, scrittura è la dote indispensabile per essere un buon cantautore?

«La scrittura è indispensabile ma da sola non basta. Penso che ci voglia il giusto equilibrio tra la conoscenza e l'estro. Ci vuole sia il cielo che la terra, la tecnica e l'espressione… ma soprattutto la vita».

Cosa c'è nel tuo futuro?

«Domanda di riserva?».



Titolo: ...per 10 minestre
Artista: Fabio Balzano
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2014


Tracce
(Testi e musiche di Fabio Balzano, eccetto dove diversamente indicato)

01. Il mio castello
02. Sol le ali del mio angelo  [testo di Daniele Guidotti e Giuseppe Luchetti, musica Fabio Balzano]
03. Tengo tango
04. Il passo della scossa
05. Il peso di una rosa
06. Esosa
07. Ti rubo i rossetti
08. Punto zero  [testo di Daniele Guidotti e Giuseppe Luchetti, musica Fabio Balzano]
09. Thunderberry STFMRR
10. Sveglio





sabato 16 agosto 2014

"Iettavuci", il grido di verità di Francesca Incudine





La cultura e la memoria della Sicilia risuonano forti in "Iettavuci", primo disco della cantautrice Francesca Incudine. La ventisettenne artista, originaria di Enna, manifesta in queste tredici canzoni, prodotte sotto la direzione artistica del fratello Mario Incudine, tutta l'urgenza di far sentire al mondo la propria voce. Brani che raccontano e descrivono con straordinaria freschezza e intensità il complesso mondo femminile segnato da delusioni, amori presenti e passati, sentimenti e scelte di vita. Quasi fosse un personalissimo diario scritto da Francesca utilizzando il dialetto siciliano, a conferma del marcato spirito di appartenenza alla terra e alla cultura della sua regione. Una scelta che esalta la musicalità delle parole e i colori dell'isola in un contesto musicale nuovo che trova però nella tradizione i caratteri fondanti. Gli arrangiamenti raffinati ed eleganti hanno la riconoscibile impronta della mano di Mario Incudine che ha potuto contare sulla collaborazione di Antonio Vasta (fisarmonica, organetto e pianoforte) e di Carmelo Colajanni (flauto, clarinetto e zampogna). Al disco partecipano anche Rita Botto (voce), Angelo Loia (chitarra e voce), Giorgio Rizzo (percussioni), Salvo Compagno (percussioni), Manfredi Tumminello (chitarra), Pino Ricosta (basso e contrabbasso), Placido Salamone (chitarra), il Dammen Quartet (Alexandra Butnaru, Elisabetta Ligresti, Maria Antonietta Pappalardo e Joanna Pawlik) diretto da Antonio Putzu e lo stesso Mario Incudine (cori, mandola, mandolino, chitarra battente, chitarra classica, armonica a bocca) in cinque canzoni.
Un disco che ha conquistato la critica e che ha ottenuto quattro riconoscimenti al Premio Parodi 2013, ha permesso a Francesca Incudine di vincere recentemente il concorso nazionale "L'artista che non c'era" ed è entrato nella top ten dei migliori dischi del 2013 scelti dalla giuria del prestigioso Premio nazionale Città di Loano per la musica tradizionale italiana.
In questa intervista abbiamo approfondito la conoscenza di Francesca e della sua musica.    




Una ragazza giovane e bella che "grida ad alta voce"! Perché tutta questa urgenza espressiva dichiarata dal titolo?

«L'urgenza espressiva è una necessità dell'anima. "Iettavuci" letteralmente non si può tradurre, e si fa carico di questa impellenza nel farsi sentire, nel dire a voce alta a se stessi e al mondo ciò che si pensa; spesso non riusciamo a dire la nostra, o rinunciamo a farlo, perché prima non lo abbiamo detto a noi stessi. Quindi è un grido di verità, uno sfogo personale, ma anche una volontà forte di dire quello che non va, di denunciare, di essere voce per chi voce non ne ha. La musica mi è sempre stata alleata in questo, mi ha sempre sostenuta e mi ha dato la forza dell'espressione, e d'altronde penso che a questo serva. Per cui la musica al mio "servizio" e io al servizio della musica per dire a tutti "chista è la vuci mia", eccomi, eccomi al mondo».

Qual è il messaggio che vuoi che tutti capiscano? 

«Il messaggio che canto vuole toccare la profondità di ognuno, vuole tentare di risvegliare la testa e il cuore, la coscienza, la propria capacità di stare al mondo e di dire ciò che si pensa senza paura, ma con forza e determinazione (non con la violenza), rimanendo fedeli a se stessi, ma nello stesso tempo aprendosi al confronto per riceverne arricchimento. Vorrei fosse un messaggio, il mio, non da comprendere, ma da "sentire" e vivere nella propria vita come meglio si crede, come meglio si può».

Per farlo hai usato il siciliano. Non pensi che possa essere un limite nella comprensione dei testi? 

«Il fatto che qualcosa si possa "sentire" (e quindi poi comprendere, sicuramente) prescinde dalla lingua che si usa. Per me il siciliano è sicuramente lo strumento linguistico più affine a quello che ho da dire, in questo momento, ma è al pari di qualsiasi altra lingua. Facendo esperienza all'estero, ho avuto modo di constatare come di fatto, il siciliano, e ripeto qualsiasi altra lingua, se si fa veicolo di un "sentire vero", non costituisca limite alcuno. Certo, è chiaro che a volte mi trovo in contesti in cui non vengo compresa, ma perché non fare uno sforzo e fare appello anche alla propria curiosità e voglia di imparare? Io, per prima, adoro cantare e imparare una nuova lingua. E spesso, mi chiedo anche... quanta musica "altra" circuita nelle nostre radio che accogliamo anche senza capirla. La domanda diventa quindi (secondo me), quanta voglia abbiamo di misurarci con quello che non conosciamo? È solo quello il limite».

Con straordinaria intensità riesci a descrivere il complesso universo femminile. Quali sono state le esperienze che ti hanno fatto raggiungere questa maturità compositiva? 

«Ti ringrazio di avermi attribuito questa maturità compositiva, ma sono felice di potere dire che sono ancora in crescita. Tanto vasto è l'universo femminile, e tradurlo in musica è stato il mio primo passo per tentare di comprenderlo, per tentare di comprendermi in un periodo di grandi cambiamenti, di grandi travolgimenti, di amori perduti, di amori ritrovati, di pensieri impauriti. Alcuni brani sono storie e sentimenti comuni, in cui ogni giovane donna, anche solo per un momento, si è ritrovata; altri sono sguardi delicati, sognanti, sospesi; altri ancora, come "Mi mettu o suli" sulla violenza sulle donne, sono reali, moniti per riconquistarsi e tornare a vivere».

L'attaccamento alla tua terra traspare evidente dai testi delle tue canzoni ma saresti disposta a trasferirti al nord per fare carriera?

«Proprio in questi giorni ho tanto pensato alle tante battaglie quotidiane che affronto nella mia terra; quanto è difficile amarla e sentirsi morire quando il pensiero di lasciarla ti sfiora, quando la stanchezza e la paura di non farcela prendono il sopravvento. Ma se andiamo via tutti, chi resta a curare le ferite che noi stessi siciliani le infliggiamo? Cantare è un modo di resistere, di amarla, anche se non sempre basta. Sì, sono molto attaccata alla mia terra e voglio provarci a farmi sentire da qui. Per me non esiste il nord e il sud, esiste solo la voglia di fare a qualsiasi latitudine».

Il disco è prodotto da tuo fratello Mario, di sei anni più grande di te. Che rapporto hai con lui e quanto ha inciso nella realizzazione di questo disco?

«Sono onorata di avere avuto accanto Mario in questo mio primo lavoro; come fa ogni fratello più grande, mi ha preso per mano e mi ha guidata, lasciandomi cadere, lasciandomi sbagliare, lasciandomi essere me stessa. È un fratello fantastico, e un artista eccellente, la mia stella polare, una fucina di idee, inesauribile, per cui collaborare con lui è una ricchezza, ma la cosa più bella è che ognuno lascia libero l'altro di scegliere cosa essere e cosa fare, perché i punti di vista sulle cose sono diverse, e questa è una grande risorsa per entrambi».

Ci racconti come è nata la cantautrice Francesca Incudine?

«La cantautrice Francesca Incudine è nata una notte di qualche anno fa, in preda a una disperata esigenza di scrivere e di affidare a un foglio le parole più nascoste e rimaste in gola; poi le parole hanno chiamato la musica e da quel momento il flusso è stato inarrestabile. Penso che succeda così per chi comincia a sentire di avere delle cose da dire. Ho iniziato a suonare e a cantare molto piccola, ma non avevo mai cantato qualcosa di mio, mi ero rifugiata nelle parole degli altri, fino a quando ho sentito di dovere mettere in musica me stessa, per cui ho iniziato a cantare di me, e poi della mia terra, e poi delle storie degli altri, di quelle che vado cercando ogni giorno negli occhi che incontro».

Un disco e hai già conquistato la critica. Dopo i riconoscimenti ottenuti al Premio Parodi 2013 è arrivato anche il successo nel concorso "L'artista che non c'era" e sei entrata nella top ten del Premio Città di Loano per la musica tradizionale italiana. Quale sarà il prossimo passo?

«È stato un anno intenso, di tanti riconoscimenti e gratificazioni, che mi hanno fatto sentire di essere sulla strada giusta. Le speranze e i passi da compiere sono molteplici e le persone da raggiungere ancora di più. Un occhio al presente e uno al futuro, con un secondo disco da realizzare e tanti palchi ancora da calcare e dai quali farmi sentire».

Nel disco ci sono anche ospiti importanti tra cui Rita Botto, recentemente protagonista a Loano con la Banda di Avola. Come è nata questa collaborazione?

«Rita Botto è sempre stata un albero di canto per me. Quando abbiamo messo le mani sul brano "Sula", nel quale duettiamo insieme, sentivamo di avere bisogno di una voce che facesse da contraltare per timbrica e per intensità alla mia giovane e delicata voce, a raccontare i due volti di una stessa medaglia, i volti di una terra che è nello stesso tempo madre, donna, "isula" solitaria in mezzo al mare, in attesa che qualcosa di buono accada. E Rita era la voce giusta, è stata disponibile, gentile, splendida e per me è stato un sogno sentire la mia voce accanto la sua».

Nel disco rendi omaggio anche a Bianca d'Aponte cantando e adattando "Ninna nanna in re". Cosa ti ha colpito di questo brano?

«"Ninna nanna in re" mi è entrata nel cuore e non è andata più via. La dolcezza di questo brano mi ha rapita; cantarla rende viva la memoria di Bianca, tutti i suoi sogni. Me ne sono innamorata subito dopo averla ascoltata e ne ho tradotto una parte in siciliano. È la canzone delle possibilità, delle strade che non abbiamo mai percorso, delle chiavi che non abbiamo mai trovato per aprire le porte che avremmo voluto aprire, delle paure che si sciolgono nel canto. E la cosa più bella è stato leggere tutto questo negli occhi commossi di Gaetano, il padre di Bianca. La cosa più bella è leggere l'emozione negli occhi di chi ascolta questo brano».

Quale canzone ti rappresenta maggiormente?

«È sempre difficile rispondere a domande di questo tipo, perché sarebbe come scegliere tra dei figli. Sono legata a tutti i brani per un motivo o per un altro, ma se dovessi dire quale brano mi rappresenta maggiormente in questo preciso momento, sceglierei "Iettavuci", perché li racchiude tutti».

Siciliana di Enna, eppure in quattro episodi del disco è presente il mare. Cosa rappresenta per te?

«Sono siciliana. Il mare è dentro di me, nei miei pensieri, è l'infinità possibilità, lo spazio aperto, la profondità, perfetta metafora di uno stato d'animo».

Dopo l'ultimo brano, "Nta sta notti", il disco si chiude con un cantato "fantasma". Ci spieghi il significato?

«Ho sempre desiderato che il mio disco contenesse la "traccia fantasma"; questa, in particolare, è cantata da una mia zia; lei riporta un canto che uno spasimante di mia nonna le cantava alla finestra. Un piccolo ricordo che ho voluto inserire "picchì cu canta nun mori mai"».


Titolo: Iettavuci
Artista: Francesca Incudine
Etichetta: Finisterre
Anno di pubblicazione: 2013


Tracce
(testi e musiche di Francesca Incudine, eccetto dove diversamente indicato)


01. Curri
02. Disiu d'amuri  [testo F. e M. Incudine, musica Mario Incudine, Antonio Vasta, Roberta Gulisano]
03. Iettavuci
04. Ninna nanna in re  [Bianca d'Aponte, rielaborazione in siciliano Francesca Incudine]
05. Intermezzo  [Mario Incudine]
06. Caminu sula
07. Mi mettu o suli  [Mario Incudine]
08. Posidonia  [testo Mario Incudine, musica Mario Incudine e Antonio Vasta]
09. Intermezzo II  [Mario Incudine]
10. Luna  [testo Francesca Incudine e Roberta Gulisano, musica Francesca Incudine]
11. Sula  [testo Francesca e Mario Incudine, musica Francesca Incudine e Mario Di Dio]
12. Cori stunatu  [testo Francesca Incudine, musica Mario Incudine]
13. Nta sta notti  [testo Francesca Incudine, musica Francesca e Mario Incudine]