mercoledì 31 dicembre 2014

L'esordio in "Crescendo" del Duo Bottasso





Originari di Boves in Piemonte, i fratelli Simone (organetto diatonico) e Nicolò Bottasso (violino) sono tra i più apprezzati interpreti di musica tradizionale della nuova generazione. È musica viva, attuale, quella suonata dal Duo Bottasso che non si limita semplicemente a proporre suoni del passato ma, partendo dalle proprie radici musicali, scrive nuove e attuali pagine di musica tradizionale e popolare. Questo è "Crescendo", disco d'esordio pubblicato il 13 dicembre da Simone e Nicolò, che sarà presentato il 2 gennaio a Loano nell'ambito di "Racconti d'Inverno", rassegna collegata alla decima edizione del Premio Città di Loano per la musica tradizionale italiana. Nell'album i fratelli Bottasso hanno raccolto un repertorio originale in cui le influenze jazz e i ritmi brasiliani si mischiano con le peculiarità della musica occitana e francese.
"Crescendo" è un disco di elevato spessore artistico che merita di essere annoverato tra le cose più belle e interessanti pubblicate in ambito tradizionale nel 2014. Musica colta che poggia su basi solide ma allo stesso tempo mai di difficile comprensione, cerebrale o, peggio ancora, noiosa. È invece ritmo e passione quello che sgorga da queste nove tracce che hanno visto la luce dopo un lungo anno di lavoro. Per il loro album i fratelli Bottasso hanno potuto contare sulla collaborazione di artisti di grande fama come la cantante sarda Elena Ledda, il percussionista brasiliano Gilson Silveira, il polistrumentista e compositore Mauro Palmas al liuto cantabile, il direttore dell’Orchestra Tradalp Christian Thoma al corno inglese.
Al ritorno da Rotterdam, dove studia composizione jazz, contemporanea ed elettronica, e prima di ripartire per Gent con gli Stygiens, siamo riusciti a contattare Simone Bottasso che gentilmente ci ha concesso l'intervista che segue.




Simone, spiegaci come siete arrivati a produrre il vostro primo disco.

«Io e mio fratello Nicolò suoniamo insieme da quando lui ha iniziato, a sette anni e adesso ne ha venti. Fin dall'inizio abbiamo sempre suonato in concerti da ballo, poi abbiamo avuto anche richieste in altri contesti e ci siamo esibiti in festival di world music, di musica classica. In questi anni in molti ci hanno chiesto di registrare un disco di musiche da ballo ma l'idea non ci ha mai convinto, anche perché pensiamo che il ballo sia molto legato alla performance, all'esibizione dal vivo. Abbiamo quindi aspettato di avere le idee chiare e l'anno scorso ci siamo finalmente decisi ad andare in studio di registrazione e il lavoro è durato tantissimo. Abbiamo iniziato giusto un anno fa, intorno al 20 dicembre se non ricordo male, e il disco è uscito il 13 dicembre di quest'anno».

"Crescendo" è un disco sorprendente per la qualità delle composizioni, per la freschezza e anche per la varietà di generi. Nel vostro viaggio toccate la musica occitana ma anche le sonorità mediterranee, il funk, la musica scandinava, irlandese, brasiliana. Come siete riusciti a racchiudere tutto questo in nove composizioni mantenendo comunque una struttura equilibrata al disco?

«Abbiamo fatto un bel lavoro di progettazione. Avevamo chiaro fin dall'inizio che il disco sarebbe stato molto vario, con diverse sonorità, anche perché non abbiamo mai ritenuto interessante registrare un album che fosse semplicemente di musica tradizionale. Abbiamo così progettato un disco molto vario e con alcuni ospiti. Certo, c'era il rischio di produrre un disco "arlecchino" con sonorità non collegate tra loro ma mi pare che anche la critica abbia apprezzato il lavoro che è stato fatto e quindi siamo soddisfatti. Per quanto riguarda la metodologia siamo partiti da un progetto iniziale a cui, man mano che siamo andati avanti, abbiamo aggiunto ospiti, brani che all'inizio non erano previsti, abbiamo composto musiche nuove come "Magicicada" e "Crescendo". Non abbiamo mai tolto nulla e questa è un po' una nostra tendenza, abbiamo solo corretto un po' la rotta del progetto».

In pochi anni siete riusciti a conquistare la stima di molti illustri colleghi, a partire da Riccardo Tesi che ha sempre speso parole d'elogio nei vostri confronti. E poi nel disco avete potuto contare sulla collaborazione di Elena Ledda, Mauro Palmas, Gilson Silveira, Christian Thoma direttore dell’Orchestra Tradalp...

«Per noi è un onore. Sono persone che conosciamo da tanto tempo e con cui abbiamo avuto la fortuna di suonare. Riccardo nel disco non c'è ma ci ha aiutati entrambi tantissimo dandoci fiducia e consigli, quindi lo consideriamo presente a tutti gli effetti. Con Riccardo inoltre ho un progetto attivo da tre-quattro anni che si chiama "Triotonico" (il trio di suonatori di organetto diatonico è completato da Filippo Gambetta, ndr). In "Crescendo" ci è sembrato giusto ripercorrere un po' tutta la storia del duo e della nostra musica e invitare questi grandi artisti. La loro presenza è stata per noi di grande aiuto».

Inoltre so che per due anni Riccardo Tesi ti ha affidato un ruolo importante nel festival "Sentieri Acustici" che si tiene tutti gli anni a Pistoia.

«Per due anni ho fatto quello che Patrick Vaillant ha fatto nell'ultima edizione del festival. Insieme a Nicolò, a Pietro Numico che ha curato la direzione corale e che lavora con me anche con Abnoba, e con gli ospiti che sono presenti anche nel disco come Gilson Silveira, il contrabbassista Luca Curcio e il chitarrista Francesco Motta abbiamo curato la produzione originale del festival. Il lavoro è consistito nel fare quello che normalmente faccio con Folkestra ovvero scrivere musiche originali per un ensemble, una orchestra di strumenti tradizionali e non, e un coro. È stata una bella palestra, con un po' di ansia perché è sempre stato molto difficile. In quell'occasione Riccardo mi ha dato tantissima fiducia, ha scommesso su una persona che non era conosciuta come compositore. Non avevo le credenziali per fare una lavoro così ambizioso, però ha funzionato e mi ha trasmesso la voglia di approfondire lo studio della scrittura e della composizione per orchestra e mi ha spinto a iscrivermi al Conservatorio di Rotterdam dove sto studiando adesso».

Dite che vi sentite più eredi che attori della scena folk revival. Ci spieghi il motivo.

«Abbiamo sempre vissuto la diatriba tra i tradizionalisti e chi faceva folk rock e non ci è mai piaciuto schierarci. Sicuramente quello che facciamo non è riprendere la musica tradizionale come veniva fatto dai nostri insegnanti o da chi ha suonato musica tradizionale prima di noi. Non è più tempo di folk revival, c'è poca possibilità di andare a "raccogliere" musica e secondo me è arrivato il momento di creare una nuova tradizione. Fino a 20-30 anni fa c'era ancora un po' di trasmissione di musica orale, adesso tutto viene fissato su cd e il tramandare musica, come avveniva tradizionalmente, non esiste più. Quello che tentiamo di fare è digerire la musica che abbiamo ricevuto e cercare di darle un futuro sottoponendola a un processo forzato di evoluzione».

Nella canzone che dà il titolo al disco ti sei cimentato nella composizione per un ensemble allargato di undici elementi. Quali difficoltà hai incontrato?

«Le difficoltà sono state legate alla mia crescita come compositore. Sto facendo un percorso da musicista contemporaneo e ho avuto difficoltà a trovare una relazione tra quello che sto studiando e quello che faccio abitualmente nel mio lavoro, cioè scrivere musica non troppo complessa, non troppo dissonante. La difficoltà è stata appunto trovare un collegamento tra il passato di musicista tradizionale e il mio presente di compositore contemporaneo. E poi ci sono state difficoltà logistiche visto che io ero in Olanda e i musicisti in Italia, e fare le prove e mettere insieme due universi musicali diversi, ovvero il quartetto d'archi classici e i fiati jazz, non è stato facile».

Che rapporto hai con tuo fratello Nicolò?

«Ci sono dinamiche interessanti. Certo, suonare in famiglia è per certi versi più facile. È più agevole comunicare quando si va d'accordo e quando invece non c'è unicità di vedute si trova facilmente una quadra perché c’è molta più sincerità e fiducia reciproca. Questo aiuta a superare le inevitabili difficoltà».

Ma alla fine chi prende l'ultima decisione?

«Alla fine sono io ad impormi perché sono più grande, ho più esperienza, ho avuto la possibilità di suonare in diversi gruppi, di fare musica. Poi adesso studiando composizione mi sto chiarendo le idee su certe dinamiche e quindi l'ultima parola ce l'ho io anche se non è sempre facile».

Mentre i vostri coetanei ascoltavano Kylie Minogue, Eminem, Cristina Aguilera e Robbie Williams voi quale musica ascoltavate?

«Tutte le cose che non ascoltavano gli altri. Questo a volte è un vantaggio ma ora lo considero anche un limite perché sento che mi manca un collegamento con la musica che la gente comune ascolta e capisce. A livello pratico abbiamo iniziato ascoltando tanta musica tradizionale, sia delle nostre parti che in generale di tutta l'Europa, poi ci siamo interessati entrambi al jazz e alla musica classica. Io ero un fanatico del rock progressive. E poi funk e ultimamente musica elettronica. Penso che sia indispensabile avere ampi orizzonti quando si vuole creare una musica al passo con i tempi».

L'album si chiude con "Magicicada", la storia della cicala che dopo diciassette anni passati sotto terra completa il suo ciclo vitale alla luce del sole. Una metafora per rappresentare cosa?

«Ho visto un documentario sulle cicale e mi è venuto da pensare a questi animaletti che passano quasi tutta la loro esistenza sotto terra. Sono la metafora di quelle persone che a un certo punto della vita si accorgono che la strada intrapresa è diversa da quella che immaginavano, e magari scoprono che c'è un sole che li aspetta da qualche altra parte. Quel sole è anche la foresta che si riempie di musica, come appunto quella della cicale. È l'augurio di un futuro migliore per tutti gli uomini che scoprono che là fuori c'è qualcosa di nuovo, magari legato alla musica. Ed è anche l'augurio che cresca l'interesse ad andare ai concerti e a investire nell'arte come liberazione dalle sofferenze».

Cosa hanno a che fare con la musica tradizionale le percussioni brasiliane di Gilson Silveira e l'uso della loop station nella canzone "Cosa faresti se non avessi paura?"?

«Un amico ha fatto una ricerca e ha scoperto che in Brasile vivono persone di origine occitana e le percussioni fanno parte di questo gioco. Poi sono anche il frutto di questa bella collaborazione che abbiamo avuto con Gilson Silveira nel progetto di "Sentieri Acustici". Il fatto di utilizzare l'elettronica e la loop station è un piccolo mattoncino che abbiamo posato per il futuro. Di cose che vorremmo fare… È stimolante l'idea di utilizzare le macchine per modificare il suono degli strumenti».

I puristi storceranno il naso, naturalmente…

«Temo che lo abbiamo già fatto ascoltando questo disco».

Quali sono le difficoltà più grandi che avete dovuto affrontare nella vostra carriera?

«Se devo essere sincero la produzione del disco è stata una di queste. Adesso che l'album è finito e che si fanno i concerti va un po' meglio. Il generale la situazione culturale e musicale in Italia è veramente terrificante e se ti capita leggi quel bel libro della Banda Osiris intitolato "Le note dolenti. Il mestiere del musicista: se lo conosci lo eviti", che descrive bene la situazione della musica attuale e consiglia a tutti di non iniziare assolutamente a suonare uno strumento perché non è quella la strada per sopravvivere».



Titolo: Crescendo
Gruppo: Duo Bottasso
Etichetta: autoproduzione / Visage Music
Anno di pubblicazione: 2014

Tracce
(musiche di Simone Bottasso, eccetto dove diversamente indicato)

01. Cosa faresti se non avessi paura?
02. Diatofonia N.7
03. Reina  [Simone Bottasso, Maria Gabriella Ledda]
04. Monkerrina
05. Bourrée  [trad.]
06. Receita de Samba / Scottish sfasà  [Jacob do Bandolim, Silvio Peron]
07. The rose of Raby / Incantata  [Dave Shepherd / Nicolò Bottasso]
08. Crescendo
09. Magicicada



martedì 23 dicembre 2014

"Wood Rock", il variopinto paesaggio dei Tamuna





I Tamuna arrivano da Palermo, dal triangolo formato dai quartieri Kalsa, Zisa e Noce. Nella loro musica si scorgono i segni delle culture che per millenni hanno contaminato e contribuito a creare quello che è oggi la Sicilia, la sua arte, i suoi uomini. Le mille sfaccettature di uno dei paesaggi culturali più ricchi e affascinanti si possono trovare in "Wood Rock", secondo album del gruppo dopo "Sicily World Music" e l'Ep in edizione limitata "15 minutes with Tamuna” pubblicato in allegato al libro di Daniele Billitteri "Homo Panormitanus". I ritmi della tradizione, quelli scanditi dalla tammorra, si mischiano e si fondono con influenze blues, reggae, rock e pop. Il "rock di legno" dei Tamuna ci mostra ancora una volta come la musica, così come la cultura popolare e l'arte, non siano entità statiche ma dinamiche che si evolvono e mutano attraverso continue contaminazione. In quest'ottica non ci si deve stupire se il tamburello va a braccetto con il cajón o se i testi delle canzoni dei Tamuna passano con disinvoltura dal siciliano all'italiano e all'inglese. Così come solo apparentemente può apparire strana la scelta del nome di questo quartetto. Il termine Tamuna è infatti di origine georgiana e significa portatori di pace ma è anche il nome della regina più importante della Georgia, "Tamar", detta anche "re dei re, regina delle regine", un personaggio leggendario di questa regione caucasica crocevia tra Europa e Asia.
Un mix di contaminazioni, quindi, che rendono questo disco, pubblicato sotto etichetta New Model Label,  fresco, moderno, ricco di fascino e suggestioni.
La line-up del gruppo è Marco Raccuglia (voce), Giovanni Parrinello (tamburello e percussioni), Carlo Di Vita (chitarre), Riccardo Romano (basso). In qualità di ospiti hanno collaborato Fabio Rizzo e il trombettista Alberto "Anguss" Anguzza.
In questa intervista collettiva ai Tamuna parliamo del disco e della variopinta cultura siciliana. 




Dal cuore di Palermo un album che sia apre all'esterno con canzoni che costruiscono ponti linguistici tra italiano, siciliano e inglese e di genere. Qual è il substrato culturale che ha fatto nascere questo interessante progetto?

«Nella nostra cultura sicula è insito più che mai il concetto di commistione, è più forte di noi, probabilmente è quasi un bisogno ancestrale quello di mettere insieme lingue e culture differenti. Basti pensare alle diverse matrici del nostro dialetto, condizionato da tante dominazioni (araba, greca, normanna, gallica, iberica). Siamo cresciuti ascoltando attorno a noi le mille sfaccettature del nostro dialetto, che cambia di quartiere in quartiere, penso che tutto questo ci abbia in qualche modo influenzato».

Prima dei Tamuna quali sono state le vostre esperienze in ambito musicale?

«Ognuno di noi viene da esperienze differenti, Giovanni con la compagnia del suo teatro ha portato la musica popolare siciliana in giro per il mondo, Marco ha lavorato dentro alcune importanti produzioni di musical, Charlie come chitarrista blues ha suonato il lungo e largo vivendo per un po' in Ungheria, e Riccardo ha alle spalle diversi anni di palco di ogni tipo».

Con "Wood Rock" il ritmo del tamburo si mischia a strumenti come il cajón che nulla hanno a che fare con la tradizione della musica del sud Italia. Qual è il messaggio che volete trasmettere con la vostra musica?

«Un messaggio di pace, intesa come unione anche tra cose differenti. La musica è una manifestazione assoluta di pace, perché mette insieme, in questo caso, uno strumento peruviano e uno appartenente alla cultura mediterranea senza creare alcun disagio».

"Gerlando" è ispirato al libro di Daniele Billitteri "Homo Panormitanus. Cronaca di un'estinzione impossibile". La musica contaminata, come appunto la vostra, potrebbe però portare, se non proprio ad una estinzione, ad un annacquamento delle caratteristiche peculiari della cultura siciliana, non credete?

«Assolutamente no. A nostro modo di vedere la tradizione deve sempre stare al servizio dell'innovazione. Siamo musicisti, non vorremo mai perdere lo spirito ingegneristico dell'inventore, perché altrimenti saremmo semplici custodi della nostra tradizione».

Proseguiamo a parlare della canzone "Gerlando" che si conclude con una citazione di "Hey Jude" dei Beatles. Un divertissement oppure la scelta voluta di contrapporre i Beatles e la cultura inglese a quella colorata e "rumorosa" siciliana?

«A dire il vero è solo un divertissement, una simpatica citazione che volevamo fare da sempre, ma anche l'ennesima dimostrazione che dentro la musica ci può stare veramente di tutto. Inoltre volevamo dare un'altra gioia a Gerlando».

In "Emanuele" affrontate il problema della condizione dei giovani laureati italiani costretti ad emigrare all'estero per trovare lavoro. Una piaga che colpisce non solo il sud Italia. Secondo voi quali sono le soluzioni migliori da adottare per la vostra terra?

«Purtroppo non abbiamo soluzioni immediate, siamo vittime di decenni di mala politica ed è da una "sana" politica che bisognerebbe ricominciare. Palermo ha uno dei centri storici più grandi d'Europa, colmo d'arte, e prima in classifica per non saperli sfruttare al meglio, bisognerebbe partire anche da questa consapevolezza e iniziare a cambiare lo stato delle cose».

Nel disco ci sono anche due storie d'amore come "Fimmina" e "Oro e rame". Ce ne volete parlare?

«L'amore da due prospettive molto differenti. Quello di "Fimmina" è un amore nostalgico, è quello dei nostri genitori che vivono insieme da una vita e non riescono a immaginarsi l'uno senza l'altro. Ma è anche una visione storica, nel senso che testimonia come la tecnologia, l'innovazione, e tutto ciò che abbia a che fare con l'artificio umano, in qualche modo ci condizioni nelle dimensioni più intime del nostro quotidiano. Quando "il telefono non stava in mano ma nel corridoio", alcune cose erano veramente impensabili. "Oro e rame" invece ci riporta nel nostro tempo, ciò che in "Fimmina" è nostalgico qui è effimero. La canzone gioca sull'idea che l'amore altro non è che una grande, bellissima, illusione, e dunque illuso è colui che confonde il rame per oro».

"Rosalia" è dedicata alla Santa di Palermo. Una bella donna che si è opposta alla volontà del padre e ha scelto di donarsi a Dio. Un vero atto di ribellione…

«Esattamente! Quello che ci piaceva far venir fuori da questa storia è proprio la dimensione profana. Volevamo dedicare una canzone al tema della violenza sulle donne, e abbiamo preso come riferimento una donna con le radici ben salde nella nostra cultura. Rosalia, bella come il sole, costretta a subire la violenza psicologica del padre che l'aveva promessa in sposa ad un ricco uomo che lei non amava, e per questo si rifugiò a Monte Pellegrino, dove morì, per sposarsi a Dio. A Palermo la gente è molto devota alla "santa" pur non avendo idea di chi fosse la "donna"».

Tutte le vostre canzoni si chiudono con un messaggio positivo. È una speranza o una visione della vita che condividete con la vostra generazione?

«È solo il nostro approccio, sentiamo la necessità di canalizzare tutto dentro un messaggio positivo, che poi diventi una speranza o semplicemente la possibilità di estraniarsi da tutto il resto per qualche minuto. Ma non è un dogma o una cosa che ci siamo prestabiliti, è andata così, magari nel prossimo disco sarà tutto diverso».

Partite dalle sonorità tipiche della tradizione siciliana per contaminarle e ampliare l'orizzonte sonoro. Qual è il vostro pubblico più affezionato?

«Vantiamo un pubblico variopinto, fatto di grandi e piccini ed è una cosa che ci rende orgogliosi. Vedere ai nostri concerti adulti "costretti" lì dai loro figli è una sensazione meravigliosa».

In Sicilia l'uso del dialetto in musica non è un evento raro. Mi sembra che ci sia molta voglia di conservare e divulgare la cultura siciliana, forse molta più di altre realtà regionali. Cosa ne pensate?

«Non ci abbiamo mai riflettuto abbastanza in effetti. Però siamo isolani, prima ancora di qualsiasi altra cosa. La nostra identità culturale è molto condizionata da questo fattore».

Il disco si chiude, a sorpresa, con una undicesima traccia che è una reprise di "Rosalia". Perché questa scelta?

«In realtà è esattamente il contrario di come sembra. La prima versione del brano è quella tammorra e voce che chiude l’album, successivamente abbiamo deciso di farne una versione in cui a suonarla eravamo tutti, ma abbiamo poi deciso di tenerle entrambe nel disco».

Con "Wood Rock" avete conquistato il premio della critica e il premio come miglior interpretazione al Premio Parodi. Un bel riconoscimento per un gruppo che è attivo solo da due anni. Che ricordi avete di questa recente esperienza?

«È stata un'esperienza magnifica. Siamo arrivati lì senza grandi aspettative, essendo un festival dedicato alla world music, ci aspettavamo di essere un po' snobbati. Invece abbiamo vinto il premio che proprio non pensavamo di vincere, quello della critica (oltre a quello per la migliore interpretazione) che è sempre quello un po' più ambito da noi musicisti».

È curioso come nel libretto abbiate deciso di non specificare gli strumenti che ognuno di voi suona. La vostra idea è di considerare i Tamuna una entità indivisibile o vi è passato di mente?

«È stata una scelta ponderata, ci piace l'idea di considerare Tamuna come un'entità indivisibile che si avvale di noi quattro ma senza gerarchie di sorta».

Quali sono i vostri prossimi progetti?

«Nei prossimi mesi porteremo la nostra musica fuori dall'Italia, esattamente a Londra. Abbiamo già diverse date e stiamo lavorando per incrementarle. E poi si vedrà».




Titolo: Wood Rock
Gruppo: Tamuna
Etichetta: New Model Label
Anno di pubblicazione: 2014

Tracce
(musiche e testi di Riccardo Romano, Carlo Di Vita, Marco Raccuglia, Giovanni Parrinello, eccetto dove diversamente indicato)

01. Penso
02. Fimmina
03. Ciuscia  [Raccuglia, Parrinello, Di Vita]
04. Gerlando  [Raccuglia, Parrinello, Di Vita]
05. Emanuele
06. Oro e rame
07. Rosalia
08. Seguimi
09. Never
10. Lasciala libera
11. Rosalia (reprise)



martedì 9 dicembre 2014

"Mo' mo'", i Gasparazzo e l'essenza delle cose




I Gasparazzo sono sulle scene da oltre dieci anni e si sono ritagliati il loro spazio nel panorama musicale italiano, quello che non si alimenta con show e concorsi televisivi ma che viene mantenuto in vita e in salute macinando chilometri, in macchina o in pullmino, per portare la musica sui palchi, nelle piazze e nei teatri dello "stivale" e anche oltre. Il gruppo emiliano-abruzzese, nato nel 2003 tra Bologna e Reggio Emilia, lo fa con una urgenza espressiva che non è scemata negli anni e che è ben rappresentata dal titolo del loro nuovo album, "Mo' mo'", ovvero, "proprio adesso, ora". Si tratta di un disco ricco di sfaccettature, in cui le tante anime del gruppo concorrono a mischiare sonorità rock a marcate influenze mediterranee, spruzzate reggae a qualche incursione nel combat rock e nel folk nostrano. Una lavoro che ad un primo superficiale ascolto potrebbe sembrare disomogeneo nella sua struttura portante ma che, a una più attenta analisi, dimostra di essere equilibrato e di possedere un filo conduttore ben preciso. Nove canzone, nove storie, compongono il sesto disco del gruppo. Con piglio a volte ironico e scanzonato, altre volte impegnato e drammatico, vengono descritti personaggi e situazioni della società moderna. Si passa così come estrema facilità da "Michelazzo" a "Rovesciala", canzone nata come inno ai Mondiali Antirazzisti, dal ragazzo di strada di "Centopelle" descritto da Carlo Collodi nella raccolta "Occhi e nasi" alla toccante "Cristo è là", in cui si è dato spazio alle parole scritte da Lino Aldrovandi, papà di Federico, studente ferrarese ucciso nel 2005.
La produzione dell'album, uscito sotto etichetta New Model Label, porta la firma del pianista e fisarmonicista Massimo Tagliata.
Dei Gasparazzo fanno parte Alessandro Caporossi (voce), Generoso Pierascenzi (chitarre, voce ed elettroniche), Giancarlo Corcillo  (fisarmonica), Roberto Salario (basso e contrabbasso), Lorenzo Lusvardi (batteria).
Noi abbiamo parlato con Generoso Pierascenzi che ci ha descritto "Mo' mo'", disco bello, stimolante e tutto da scoprire.



"Mo' mo'" …proprio ora, adesso. Per fare cosa?

«Per catturare l’essenza. Per dare alle sensazioni il tempo e lo spazio che meritano, per dare una valenza reale agli scambi interpersonali, agli incontri ed agli scontri. Non è un inno alla velocità o alla sintesi, al contrario il concetto è proprio quello di dare priorità all'istinto e poi "coccolarsi" le scelte fatte, che chiaramente non saranno perfette, ma resteranno nella nostra storia».

Il titolo però non è una espressione linguistica tipica della vostra regione d'adozione, l'Emilia…

«La nostra band è formata per 3/5 da abruzzesi ed io che sono cresciuto a Teramo sento molto familiare questa espressione. La nostra regione di adozione è l'Emilia dove il "mo'", che sta per adesso appunto, è sempre più presente ma è chiaro che è un termine migrante».

È il vostro quinto album in studio. Cosa è cambiato da "Tiro di classe", il vostro disco d'esordio del 2007?

«È cambiato soprattutto il metodo compositivo. Nel primo album avevamo attinto alla nostra passione per l'elettronica e per gli ascolti variegati cercando varie vesti ai brani e affidandoci, poi, a studi di registrazione. Sul nuovo lavoro siamo arrivati a comporre e preprodurre nello stesso momento, senza accanimento alcuno sui brani. Dedicando più tempo alla ricerca di timbri ed agli arrangiamenti anche grazie al fatto che registriamo nei nostri studi personali. Oggi, a differenza del primo album ricco di molte sonorità anche lontane tra loro, l’architettura sonora è più chitarristica anche se non emerge ad un primo ascolto».

Quale è stata la molla che vi ha spinti ad iniziare la registrazione del vostro nuovo disco?

«Nell'estate del 2013 avevamo pensato che potesse essere ora di tornare a comporre ma le idee erano vaghe e confuse. Nell'agosto dello stesso anno ho avuto un momento molto doloroso in famiglia in Abruzzo che mi ha riportato a Bologna in un isolamento fisico e sociale che è diventato immediatamente creativo e produttivo. Suonavo e registravo a tutte le ore con una vecchia Framus a 5 corde, una chitarra baritona per le linee di basso, un controller midi ed il microfono per la voce. Dopo un mesetto ho espresso ai ragazzi della band l'urgenza di suonare il materiale catturato in quei giorni. Abbiamo aggiunto un paio di idee di Alessandro (Caporossi, ndr) che erano già in cantiere e ci siamo messi al lavoro».

Raccontaci la genesi della canzone "Rovesciala", nata come inno dei Mondiali Antirazzisti.

«I Mondiali Antirazzisti hanno tenuto a "battesimo" o meglio "battezzo" la band Gasparazzo. Nel 2003 e poi nel 2004 abbiamo suonato per questo evento che abbiamo sempre comunque frequentato giocando con la squadra di Materiale Resistente, che era una associazione antifascista di Correggio. Nel 2013 ci hanno suggerito di partecipare al contest per creare un inno ed abbiamo scritto raccontando un pochino la nostra storia, oltre a "rovesciare" le parole del gioco del calcio a favore di un calcio e un mondo diversi. Ci hanno premiati con il secondo posto per il brano ed abbiamo quindi festeggiato i dieci anni suonando di nuovo, nel 2013, sul bellissimo palco nel tendone dei Mondiali Antirazzisti».

In "Michelazzo" cantante un personaggio <che mangia, beve e si fa il mazzo>. Chi è Michelazzo e quale personaggio famoso potrebbe rappresentare?

«D'istinto ti direi che nel mondo della cosiddetta indie music di "Michelazzi" ce ne sono tanti. Ma non è il musicista l'obiettivo della canzone. Michelazzo, quello creativo, è in ognuno di noi, alcuni ne hanno il talento e riescono a farne uno stile di vita. Alcuni hanno solo le possibilità economiche ma non il talento e vivono di imbarazzi. Io ne conosco almeno quattro dalla Sicilia al Piemonte. I più famosi (ma poco creativi) siedono in parlamento».

"Se i posacenere potessero parlare" è invece scritta in collaborazione con Mezzafemmina, all'anagrafe Gianluca Conte. Quando si sono incrociate le vostre strade?

«Con questa domanda approfitto per ringraziare Andrea Caporossi detto Zichietto che, oltre ad averci suggerito il nome della nostra band, è un valido collaboratore anche sul piano testuale. Lui ascoltava la musica di Gianluca, si sono conosciuti e loro hanno deciso il featuring coi Gasparazzo. È stato molto interessante lavorare con Mezzafemmina».

"Cristo è là" è dedicata a Federico Aldrovandi e il testo è basato sulle parole scritte da papà Lino in memoria del figlio assassinato. Come è nata questa canzone?

«Anche in questo caso Zichietto ha fatto da ponte tra noi e Lino Aldrovandi chiedendo materiali ed autorizzazioni. Avevamo a cuore il caso di Federico e di tutte le vittime delle istituzioni, così abbiamo conosciuto Lino e Patrizia. Ne è nata una collaborazione e soprattutto un incontro davvero speciale. Nel brano le parole di tutte le strofe sono opera di Lino».

Morti che in Italia, vista anche l'ultima sentenza in merito all’uccisione di Stefano Cucchi, non hanno un colpevole. Qual è la tua idea?

«La cosa assurda sta nel fatto che è ormai chiaro che il nostro Stato genera ed alleva la mostruosità. Occulta l'evidenza come se non fossimo tutti umani e digerisce la barbarie come se non esistesse più l'anima. Senza il rumore mediatico, la collaborazione di cittadini sensibili e l'incredibile forza delle disperate famiglie, non ci sarebbe neanche la ricerca della verità per queste morti assurde che, a mio personale avviso, sono anche rivendicate dai branchi in divisa quando attaccano Patrizia o Stefania che vogliono solo verità».

Per la produzione dell’album vi siete affidati a Massimo Tagliata. Da cosa possiamo riconoscere il suo contributo?

«Aveva masterizzato il nostro primo album e lo conosciamo dal 2006. Abbiamo pensato a Massimo perché ci piace il suo modo di lavorare, è molto schietto con noi e vive a dieci minuti da casa mia, per cui gli incontri ravvicinati, quelli veri, sono comodi e forse fanno la differenza. Il suo intervento è riconoscibile nelle eleganti sonorità delle fisarmoniche (il suo strumento oltre al piano) e nel carattere pop delle voci. Anche nella produzione dei beat elettronici il suo lavoro è notevole. In pratica Massimo ha reinterpretato quelle che erano le nostre sequenze elettroniche scure e giurassiche e come le sentiamo noi, in una veste più pop forse più adatta alle canzoni».

Come avete lavorato sugli arrangiamenti?

«Come ti spiegavo prima, io ho fatto un arrangiamento generale e di getto in fase di preproduzione. Era mia intenzione osservare l'album nella sua completezza per poi arrangiare i singoli brani, quindi volutamente si è lavorato su più canzoni simultaneamente. Nel registrare le tracce definitive si sono uniti i ragazzi della band per definire il tutto. Anche in studio, con Massimo, abbiamo preso decisioni importanti da questo punto di vista».

Questo disco è nato tra Bologna e Reggio Emilia ma il suono è geograficamente molto più esteso e se vogliamo anche molto più mediterraneo di quello che si potrebbe pensare…

«Forse viene fuori la voglia di viaggiare e l'ascolto di musica a 360 gradi. La band Gasparazzo ha comunque girato in lungo e in largo l'Europa, è stata anche più volte in Africa, in Albania e in tutta l'Italia. Abbiamo vissuto e suonato con brasiliani, argentini, africani, tedeschi. Anche le forme d'arte diverse tra loro si proiettano nel nostro lavoro e spesso in fase produttiva dobbiamo ragionare criticamente sui confini stilistici».

Eppure la fisarmonica rimanda a una tradizione folk molto ben radicata nella vostra regione. È questo l'elemento che più vi lega alla vostra terra?

«No, l'elemento che più ci lega all'Abruzzo è la cantata in strada, il suonare insieme bevendo vino e inventando giri e strofe con divertimento e dissenso. È vero anche che, se in Italia spesso ai bimbi si inizia a far suonare il piano, in Abruzzo la fisarmonica o meglio il più tradizionale du botte (organetto a due bassi) è quasi d'obbligo per la gioia e non dei piccoli musicisti. Negli anni Ottanta ti assicuro che erano tantissimi i virtuosi adolescenti che studiavano ad orecchio e facevano ballare intere piazze solo col bellissimo e ribelle du botte».

Tra le tante attività extra-musicali in cui siete impegnati c'è anche quella dei laboratori di rumoristica e di doppiaggio che portate nelle scuole. Ci spieghi di cosa si tratta e qual è lo scopo?

«Tra i tanti laboratori che io ed Alessandro (Caporossi, ndr) abbiamo tenuto, quello di cui parli è quello più potente in tutti i sensi. In poche parole lavoriamo con gruppi di ragazzi delle scuole medie ed elementari mettendo al centro dell'attenzione il suono e il rumore soprattutto. Si va dal creare una banca di suoni che i ragazzi portano da casa fino al vero e proprio doppiaggio di cortometraggi, cartoni animati o scene di film. Si producono i suoni e le voci in autonomia inventando strumenti, generando versi, frasi e tutto il necessario alla sonorizzazione di un filmato. L'esperienza, che rapisce noi, i ragazzi e le insegnanti che assieme a noi curano i laboratori, tende a sollecitare i sensi e l'attenzione verso gli eventi esterni, stimola la curiosità ed offre una opportunità per un riciclo creativo oltre a suggerire l'ascolto reciproco e l'interazione tra persone rispettando le dinamiche del lavoro di gruppo e dando voce e suono al silenzio».

Alla fin del libretto che accompagna il cd è riprodotto un personaggio che dice <ma non finisce qui!>. Ci lascia pensare che ci sarà un futuro per i Gasparazzo. In che direzione andrete?

«Il Gasparazzo che dice che non finirà è l'omino in salopette, operaio della Fiat nei primi anni '70, creato dalla matita di Roberto Zamarin. Ci piace contribuire alla sua memoria e lo ringraziamo, con queste citazioni nei nostri album, per la sua arte critica e appassionata. Il futuro della band è quello di suonare il più possibile questo album e nell'imminente è in programma una collaborazione con Massimo Tagliata che suonerà sul brano "Mimi", che probabilmente sarà il terzo singolo, seguito da un nuovo video dedicato all'arte di strada».




Titolo: Mo' mo'
Gruppo: Gasparazzo
Etichetta: New Model Label
Anno di pubblicazione: 2014

Tracce
(testi di Alessandro Caporossi e musiche di Generoso Pierascenzi, eccetto dove diversamente indicato)

01. Rovesciala
02. Michelazzo
03. Mo' mo'
04. Agro 400
05. La tromba di Eustachio
06. Impulsi nudi
07. Centopelle
08. Se i posacenere potessero parlare  [testo di Gianluca Conte]
09. Mimi
10. Cristo è là
11. Fondaco