martedì 29 dicembre 2015

Sergio Arturo Calonego, tra premi e Marcel Dadi






Sergio Arturo Calonego torna con "Dadigadì". Dopo l'apprezzato album d'esordio, "Marinere", uscito nel 2013, il cantautore e chitarrista milanese riprende la strada della sperimentazione musicale e propone un disco sfaccettato, ricco nella sua essenzialità e denso di emozioni. Il nuovo cd è composto da otto canzoni in cui la chitarra acustica recita un ruolo da indiscussa protagonista e le parole sono piccoli cameo che regalano luci e riflessi emozionali. Calonego, premiato nel corso dell'anno con la targa "miglior chitarrista acustico emergente 2015" dall'Atkins Dadi Guitar Players Association, rende omaggio a Marcel Dadi, chitarrista francese scomparso prematuramente, e seduce l'ascoltatore con note e accordi che richiamano atmosfere arabeggianti ("Duende"), tzigane ("Dancera") e blues ("Delta"). Un album rilassante, da gustare accompagnato da distillati pregiati e profumi speziati alla luce soffusa di qualche candela. 
Come nel precedente capitolo musicale, Calogeno per la sua chitarra si affida all'accordatura DADGAD (Re-La-Re-Sol-La-Re) di cui Pierre Bensusan è maestro indiscusso. Una accordatura aperta che offre la possibilità di esplorare soluzioni sonore e intervalli non abituali. Tutte le canzoni dell'album sono registrate senza sovraincisioni e Armando Illario arricchisce con la sua fisarmonica la canzone "Dancera".
Calonego ci racconta il suo 2015, anno ricco di soddisfazioni, musica e riconoscimenti. 




Si va a chiudere un anno ricco di soddisfazioni durante il quale hai vinto il premio "miglior chitarrista emergente dell'anno" nell'ambito della ventiduesima convention dell'A.D.G.P.A. che si è tenuta a Conegliano. Come si è svolto il concorso?

«Permettimi di spendere due parole su A.D.G.P.A. per chi, non frequentando il mondo della chitarra acustica, non conosce questa realtà. A.D.G.P.A. è un'associazione culturale che nasce in Francia alla fine degli anni '80 come fan club legato al grande chitarrista francese Marcel Dadi, un vero innovatore molto legato a Chet Atkins, che ha ampliato il linguaggio della chitarra. Dadi ha perso la vita nel 1994 a causa di un incidente aereo. L'A.D.G.P.A. italiana nasce agli inizi degli anni '90 grazie all'avvocato milanese Marino Vignali e ad alcuni amanti della chitarra acustica che, amici di Marcel Dadi, coinvolgono nel progetto alcuni padrini illustri fra i quali i chitarristi Franco Cerri e Riccardo Zappa. La mia partecipazione al concorso è stata frutto di una coincidenza: stavo registrando il mio secondo disco. Mancava credo un mese alla fine del bando di concorso ed ho inviato due brani che non avevo ancora finito di mixare. Da lì sono arrivato in finale. Il giorno della finale pensavo a tutto tranne che avrei vinto la targa di miglior chitarrista. Sono completamente autodidatta, non provengo da studi classici né accademici. La verità è che avevo delle storie da raccontare per cui non mi sono fatto troppe domande: sono salito sul palco e ho suonato i miei due brani con la massima naturalezza. Pensa che quaranta minuti prima della finale ero ancora nella piscina dell'hotel. Poi, chiaramente, la gioia è stata grandissima».

Quali canzoni hai presentato nel corso della manifestazione?

«Due brani strumentali: "Dissonata" e "Dadigadì", brano quest'ultimo che dà il titolo al mio secondo disco».

Grazie a questo successo a fine ottobre sei stato ospite del festival francese di Issoudun dedicato alla chitarra. Che ricordi hai di questa avventura?

«Ho ricordi dolci di questo mio soggiorno in Francia. È stata un'avventura nata, almeno inizialmente, senza alcuna progettazione. Vincendo "Rendez Vous" e la targa A.D.G.P.A. a Conegliano, ho avuto l'onore di rappresentare il mondo della chitarra acustica italiana in uno dei più prestigiosi festival europei. Avevo già suonato all'estero, in Svizzera, Belgio e per due anni anche in Islanda ma in questo caso il sapore del viaggio era tutta un'altra cosa. Ho ricordi di strade baciate dal sole di un autunno clemente mentre mi domando: ‹…ma cosa sto andando a fare?›. Non ho alcuna difficoltà ad ammettere che sono andato al festival della Guitare de Issoudun non perfettamente consapevole di quello che stavo per fare. La delegazione A.D.G.P.A. Italia mi ha raggiunto il giorno del concerto e l'unica persona che conoscevo era Francois Sciortino che è uno dei più bravi e conosciuti chitarristi acustici francesi. Francois è un grandissimo musicista, oggi anche un amico, l'ho conosciuto a Conegliano proprio in occasione della finale».

Come ha reagito il pubblico francese sentendo le tue canzoni?

«Premetto che, un po' per indole e un po' per esperienza (ho alle spalle ormai quasi 700 esibizioni), non sento molto la pressione dei concerti anche se importanti, per cui, quando è stato il mio turno, sono salito sul palco e ho fatto quello che dovevo fare: ho suonato. Avevo preparato la scaletta da mesi per cui, musicalmente parlando, tutto è andato come speravo che andasse. C'è però un aneddoto, che è anche un ricordo bellissimo, che mi piace condividere: suonavo nel teatro del centro dei congressi di Issoudun, alla fine del mio set il pubblico applaudiva e io, dopo aver ringraziato, mi sono diretto nel backstage. A questo punto è accaduta una cosa non prevista. Mi ha raggiunto un addetto al palco e mi ha detto: ‹Monsieur Calonegò, ils vous appellent›. In effetti dal backstage ho avvertito un rumore, come una ritmica sorda, ovattata ma decisamente convinta e muscolare. Era il pubblico del teatro che stava chiamando il bis. Lo stava chiamando con forza, lo stava pretendendo. Ho capito immediatamente dallo sguardo dell'uomo di palco che non dovevo farmi attendere troppo per cui ho preso la chitarra e sono ritornato sul palco, stupito, lusingato e quasi intontito. Non avevo pensato a un'eventualità del genere per cui non mi ero preparato né la cosa giusta da dire né il brano da eseguire. Credo di aver ripetuto diverse volte "grazie" come un automa e poi ho eseguito un brano, "Darandel", che non avevo inserito in scaletta. Avrò sempre negli occhi la fotografia di questi volti che chiedono il bis a me che, giusto qualche anno fa, ho cominciato a giocare con la chitarra acustica quasi per caso nel bagno di casa. Mi sono sentito adottato. Ho un ricordo splendido di questo mio soggiorno francese».

Nelle ultime settimane è arrivato anche il tuo nuovo disco. Come è nato "Dadigadì"?

«"Dadigadì" è nato esattamente come il mio primo disco, "Marinere". Entrambi li definirei dischi di "testimonianza" più che di "proposta" perché l'intenzione di fotografare il mio momento musicale prevale su qualsiasi logica di proposta commerciale. Volevo un disco che raccontasse le storie e le suggestioni che mi dominano senza cadere nell'autocompiacimento o nell'accademico. Credo di esserci riuscito».

Come si sono svolte le sessioni di registrazione?

«Da quando produco i miei dischi mi sono imposto una regola ferrea: tre giorni di registrazione per la chitarra e due per curare le voci e mixaggio finale. Lo faccio per una questione di costi ma anche per un romanticismo che mi lega a certi dischi del passato a cui sono affezionato e per la convinzione che è il modo migliore che fa per me. Per fare questo, quindi, di solito lavoro moltissimo prima in modo da arrivare alla registrazione con una pre produzione solida e con il minimo margine di dubbio. Quando i brani mi convincono ritmicamente, armonicamente e melodicamente mi prendo un paio di mesi per imparare a suonarli con disinvoltura. A questo punto registro».

Il titolo ha parecchie suggestioni e richiami. A partire dalla tua accordatura preferita, la DADGAD, fino ad arrivare a Marcel Dadi, grande chitarrista fingerstyle francese. Quale ha la meglio o c'è dell'altro?

«"Dadigadì" è una visione ma anche una direzione precisa. È un richiamo fortissimo all'accordatura che utilizzo, la DADGAD, ma vuole anche essere una citazione affettiva di Marcel Dadi. Dico citazione affettiva o sentimentale perché suono la chitarra utilizzando tecniche lontane dal mondo sonoro di Dadi che era decisamente più orientato al fingerpicking puro e quindi legato alla tradizione di campioni quali Chet Atkins e Merle Travis».

Curiosamente i titoli delle canzoni iniziano tutti con la lettera "D". Perché questa scelta?

«Nella notazione musicale ideata da Guido D'Arezzo la lettera "D" identifica per convenzione il "re" ( A=la,  B=si, C=do D=re, E=mi, F=fa, G=sol ). Essendo totalmente immerso in questo colore ho voluto estendere questo simbolismo anche nei titoli dei singoli brani».

C'è un tema che accomuna i brani del disco?

«Direi che, a livello personale, il legame è fortissimo perché in qualche modo rappresenta il viaggio che ho intrapreso con il mio strumento. Sono stato simpaticamente definito "acoustic sailor" per questo mio essere collegamento fra il mondo della canzone d'autore e quello dei chitarristi. Ti dico senz'altro che questo cd è composto da suggestioni e intuizioni che mi legano a questo strumento e in qualche modo questo disco è una mappa del viaggio che ho fatto fino ad oggi sulla chitarra acustica».

Hai in programma un tour per promuovere l'album?

«Un vero e proprio tour no. Non ho ancora le dimensioni per poter immaginare un vero tour ed io stesso sono lontano da questo tipo di liturgie. Sono tutto sommato una "faccenda di nicchia", fino ad oggi ho vissuto di "richieste". Mi chiamano, suono. Devo dire che negli ultimi due anni ho suonato davvero tanto e ben oltre le aspettative ma quando è successo è stato quasi sempre per l'intuizione e il coraggio di promoters o gestori di locali che sono rimasti incuriositi dal mio viaggio e che lo hanno voluto proporre nei loro luoghi. La mia proposta musicale è trasversale, posso suonare praticamente ovunque: il luogo ideale per questa musica è il teatro ma non stono in una chiesa, nei jazz club e funziono molto bene anche in luoghi all'aperto se amplificati, ovviamente. Pensa che ho suonato anche in alcuni festival rock per non parlare di open act a musicisti in piazze in alcuni casi davanti a migliaia di persone. Suonando da solo ho costi decisamente abbordabili e l'unica mia richiesta formale nella scheda tecnica è avere una sedia senza braccioli, non mi serve altro. La verità è che suono se vengo richiesto e se questo non succede suono a casa, nel mio bagno dove è nata e continua ad evolversi la mia musica. Sono un fissato della composizione, non sono un forzato dei concerti».

In un paio di brani torna a galla la tua anima blues con un cantato profondo che si inserisce in pieno nella tradizione americana. Ti vedresti protagonista di un disco blues, a costo di mettere in secondo piano la chitarra?

«No».

Come in "Marinere", il tuo album del 2013, anche in "Dadigadì" le canzoni proposte sono otto. È il tuo numero fortunato o c'è un motivo preciso?

«Il numero 8 simbolicamente rappresenta l'infinito e la perfezione ma il vero motivo per cui i miei dischi contengono otto brani è perché non amo i dischi troppo lunghi. Ho in casa alcuni dischi che ascolto in certi momenti, ma in quei momenti ascolto solo quelli. Penso a miei dischi con la medesima attitudine. Li vedo adatti al viaggio, a certi tramonti e a quei momenti in cui desideri restare solo con te stesso».

Come vedi il tuo futuro da artista?

«Credo che il mio prossimo disco sarà di carta e avrà le pagine. È da tempo che desidero regalare ai miei tre bimbi un racconto che possano leggere quando saranno più grandi, in cui possano leggere del bellissimo viaggio che il loro papà ha fatto nella musica. Un racconto fatto di aneddoti e personaggi che ho conosciuto. Persone la cui conoscenza mi ha arricchito e quindi musicisti, alcuni noti altri meno ma non meno importanti o determinanti nel mio percorso. Dal punto di vista musicale invece credo che il mio futuro sarà legato all'evoluzione che avrò sullo strumento. Sono più simile a uno studioso della chitarra acustica che a una pop-star. Una cosa che farò di sicuro sarà acquistare una bella telecamera così se non riceverò proposte per concerti continuerò a proporre a chi mi segue su internet il mio percorso evolutivo senza drammi o ansie da prestazione. Le cose, se succedono da sole, vengono decisamente meglio».

Adesso svelaci un segreto. Da dove deriva il tuo soprannome "Fiesta"?

«Da ragazzo la chitarra dei miei sogni era una Fender Stratocaster del '64 colore "fiesta red" che è un rosso che con il tempo assume sfumature arancioni/rosa salmone. Tutto qui. L'unico esotismo di cui subisco veramente il fascino è la danza che si può generare sul manico di una chitarra».



Titolo: Dadigadì
Artista: Sergio Arturo Calonego
Anno di pubblicazione: 2015
Etichetta: autoproduzione

Tracce
(musiche e testi di Sergio Arturo Calonego)

01. Dadigadì
02. Dissonata
03. Delta
04. Dancera
05. Dea
06. Duende
07. Darlin'
08. Darandèl