lunedì 31 ottobre 2016

"Vizi, peccati e debolezze" del siciliano Luca Burgio





Le notti nei locali di Madrid e la tradizione folk siciliana. Un filo rosso che il cantautore Luca Burgio ha saputo annodare e tradurre in musica nel suo disco d'esordio "Vizi, peccati e debolezze", prodotto con il decisivo contributo della Maison Pigalle. Il cantautore agrigentino ha trascorso alcuni anni nella capitale iberica, lavorando e vivendo la movida. A Madrid l'artista siciliano ha gettato il seme della sua musica e una volta tornato in Sicilia la pianta è cresciuta vigorosa fino a dare ottimi frutti. L'esperienza di vita in Spagna si è tradotta in musica e le atmosfere gipsy jazz con chitarre manouche, fisarmoniche e fiati mariachi si sono fuse e intrecciate con il folk siciliano. Nove canzoni, dal ritmo incalzante, ambientate in locali aperti fino a tarda notte, dove i vapori dell'alcol e il fumo delle sigarette si mescolano a racconti di sognatori romantici, poeti che trovano conforto nella bottiglia, amanti in preda ai propri istinti. Atmosfere fumose e swingate si legano a testi espliciti, ironici e dissacranti che raccontano esperienze vissute in prima persona. Un disco suonato e arrangiato molto bene che mette in evidenza come Burgio e la Maison Pigalle abbiano metabolizzato alla perfezione le lezioni di Paolo Conte, De Andrè, Gaber, Fred Buscaglione, del Vinicio Capossela che racconta le notti milanesi. Niente di nuovo sotto il solo verrebbe da dire dopo un ascolto superficiale ma l'utilizzo di strumenti come il mandolino e la fisarmonica, in un contesto sonoro già ricco, regalano colori e sfumature tutte da scoprire e gustare.
La Maison Pigalle è composta da Andrea Scimè (contrabbasso), Armando Fiore (percussioni), Marco Macaluso (fisarmonica), Mauro Schembri (mandolino). Hanno partecipato Ettore Baiamonte (chitarra), Samuele Davì (tromba), Roberto Anelli (pianoforte).
Con Luca Burgio abbiamo parlato del suo disco che è stato inserito tra i 50 candidati al Premio Tenco 2016 nella categoria “Opera prima”.



Luca, vizi, peccati e debolezze sono ancora ammessi nella società di oggi?

«Certo! Chi dovrebbe vietarceli? Il nostro lato oscuro fa parte di noi da quando siamo nati. Fa parte del nostro essere. Non esiste nel genere umano una persona che non abbia mai familiarizzato con le proprie paure, le proprie voglie, il senso di colpa, tutto quello che ci rende così meravigliosamente umani! E oggi più che mai ci sentiamo ancora più liberi di vivere la nostra natura peccaminosa perché, ad esempio, la maggior parte di noi non ha più una fede religiosa tanto influente nella propria vita come lo era in passato, ma abbiamo accettato noi stessi per come siamo, non abbiamo più quella retorica moralista che per tanto tempo ci ha limitati nel fare e nel dire costringendo a castrare oppure nascondere le nostre più profonde pulsioni, non esiste più quell'immagine maschilista dell'uomo forte tutto d'un pezzo, io piango se sto male e bevo se ho un problema, urlo se mi incazzo, e divento un cretino se mi innamoro perché la mia debolezza mi fa sentire umano e io amo la mia natura volubile e vulnerabile». 

Raccontandoli ci hai fatto un disco, il primo della tua carriera. Quanto hai lavorato a questo progetto?

«Tralasciamo il tempo impiegato a scrivere le canzoni perché le scrivevo senza alcun progetto e soprattutto senza l'idea di incidere un disco un giorno. Sono tornato dalla Spagna nell'ottobre del 2013 con un progetto che avrebbe impegnato i miei prossimi tre anni, il tempo di mettere su quello che sarebbe stato l'embrione della Maison Pigalle, ed insieme a Mauro Schembri e Marco Macaluso iniziammo la prima fase, l'arrangiamento delle canzoni e la registrazione di una demo di due brani che coinvolse anche il resto della band. Nel secondo anno ci avviammo alla seconda fase, la quale ci vide alle prese con i primi concerti e la registrazione del disco, attraverso il quale ci potemmo proporre alle diverse etichette discografiche. L'inizio della collaborazione con la New Model Label segna la fine della terza fase esattamente nel terzo anno di attività. Il progetto che mi sono portato dalla Spagna si è compiuto quest'anno e ora quello che resta da fare è portare la mia musica il più lontano possibile, mettergli le ali e passare lo stretto, tanto per cominciare».

Le canzoni del tuo disco hanno una ambientazione notturna. È questo il momento migliore per vivere?

«Diciamo che è il momento migliore per scrivere, ognuno la vive come la sente ma la sera tutto prende un'altra forma, se la vivi fuori fra i locali, la musica, la gente che esce a fare festa, allora la notte ti seduce, ti coinvolge, distorce la giornata, le facciate dei palazzi e delle chiese tirano fuori le loro ombre e ogni vicolo o stradina diventa misteriosa, i basolati lucidi riflettono le luci gialle dei lampioni e i pub sembrano aspettare solo te, tu bevi qualcosa, stai con gli amici, magari conosci una niña che con un po' di fortuna ti porti a casa, allora metti in riproduzione casuale la discografia di Chet Baker, tiri fuori la tua bottiglia da 75 cl che conservi per queste occasioni, la bevete, a lei si socchiudono gli occhi, le si ammorbidisce la voce, e finite col passare la notte arrotolati alle lenzuola… poi l'indomani si alza e se ne va come se la lingua che aveva in bocca fino a qualche ora fa non era la tua… veloce, col trucco sbavato, e senza guardarti negli occhi si ripassa il rossetto e scappa a lavoro. E questo è più o meno l'effetto che mi fa il giorno! Poi la sera dopo magari resti a casa e scrivi quanto è successo e se sai prenderti alla leggera ti fai pure due risate».

Dove prendi ispirazione per scrivere canzoni?

«Vedi, il concetto di ispirazione a mio avviso è stato sempre frainteso, per come la vedo io, sono continuamente ispirato, l'ispirazione è quel valore aggiunto o condanna congenita in tutti i romantici. È appunto l'ispirazione che accende la tua immaginazione, che ti rende sensibile, ti dà la possibilità di vedere le cose oltre la forma e di apprezzarne l'essenza, è quella capacità che hai di organizzare le forme e i colori e scattare una bella foto, o mischiare insieme degli ingredienti e tirare fuori un piatto sorprendente, o, come nel mio caso, prendere tutta la gente che vedi e quello che succede a te e a loro e organizzarlo in versi in maniera elegante o brutale. L'ispirazione non va e viene ma è sempre dentro di noi, per me raggiunge picchi massimi nelle situazioni della vita e nelle interazioni della gente».

I brani che tu canti in questo album sono storie vissute?

«Per fortuna o purtroppo sì, in questo disco mi sono sputtanato, senza ritegno! Mi sono chiesto il perché qualcuno debba ascoltare le mie canzoni, e ho pensato che se avessi raccontato le situazioni quotidiane che vive chiunque o le avventure che più o meno il target a cui mi rivolgo ha vissuto, con i particolari ironici, tristi, stravaganti e calcando sempre la mano sul nostro "lato oscuro" su quei pensieri che tutti ci facciamo ma che mai portiamo alla luce, sulle nostre perversioni e insicurezze sarei potuto arrivare a quella semplicità che accomuna tutti. Insomma siamo tutti sporchi e quando ascolto qualcuno che mi propone delle storie mi piace pensare "cazzo quant'è vero!" e così, dal cuore pulsante della mia vergogna è venuto fuori "Vizi, peccati e debolezze"».

Quando sei entrato in studio avevi già le idee chiare riguardo al suono che il disco avrebbe dovuto avere?

«Più o meno sì, questa connotazione un po' noire, i suoni pesanti e cupi, l'esaltazione dei bassi, è il suono che meglio sposa il senso dei testi, è proprio il sound che cercavo e per questo mi sono affidato totalmente a Davide Terranova per il missaggio e alla Maison Pigalle e alla loro creatività per gli arrangiamenti. Ovviamente anch'io avevo le mie idee, ad esempio tutte le parti della tromba non le avevo mai sentite dal vivo ma le avevo in testa così per come sono nel disco, a parte l'assolo di "Buscavidas", lì Samuele Davì si è lasciato andare all'improvvisazione assoluta dando il dovuto carattere al brano, e la chitarra di Ettore Baiamonte che ha sostituito tutto quello che fino a quel momento erano soltanto semplici accordi, con accompagnamenti ben pensati e piazzati sapientemente all'interno del disco».

È un disco dalle sonorità molto ricche, come si sono svolte tecnicamente le sessions di registrazione?

«Ho cominciato io con una traccia guida di voce e chitarra sulla quale poi abbiamo dato il via  alle registrazioni della chitarra, a cui sono seguite contrabbasso e percussioni, subito dopo abbiamo inserito nell'ordine fisarmonica e mandolino e infine tromba, pianoforte e voce. La parte più impegnativa è stata quella del missaggio in cui abbiamo passato ore e ore in silenzio sullo stesso pezzo. Davide è stato davvero formidabile e devo dire che dopo la fase finale del master quello che ne è venuto fuori nel complesso è stato parecchio soddisfacente».

Mandolino e fisarmonica sono due strumenti non facili da trovare nei dischi dei cantautori. Perché li hai voluti nel tuo album?

«Quando ho cominciato questa avventura c'era una sola persona che ero sicuro di poter chiamare per iniziare un progetto così importante da farmi mollare tutto per ritornare in Italia, e quella era Mauro Schembri. Mauro nasce come chitarrista e poi polistrumentista, sapevo che qualcosa di interessante sarebbe potuto uscire anche da qualche altro strumento. Al mio arrivo mi sono reso conto che suonava il mandolino in maniera così tosta che solo anni di heavy metal avrebbero potuto formare, una specie di mitragliatrice di note che si univa perfettamente all'intenzione dei miei testi, così arrangiammo tutto con il mandolino che è comunque il suo strumento principale. Ma serviva qualcosa che ammorbidisse il tutto, che ci unisse e completasse il trio che avevo intenzione di mettere su per cominciare, che desse quel sound folk e bohemien che cercavo, e così trovammo le nostre risposte in Marco Macaluso e la sua fisarmonica. Con la completezza del suo strumento il trio era pronto a partire, destinato in seguito ad unirsi agli altri».

Quali sono i tuoi vizi e le tue debolezze?

«Vuoi che ti faccia un elenco? Ovviamente sto scherzando, sono un tipo abbastanza calmo, il mio è solo un personaggio creato per accompagnare il nome del disco mica viceversa! In realtà riesco a controllare al meglio le mie emozioni e spesso fra i miei amici passo per quello freddo e calcolatore, ma non è colpa mia, è che seguo la ragione sopra ogni cosa, ritengo sia l'unica cosa concreta e in quanto tale l'unica che abbia un senso. Sono il classico ragazzo da una donna sola, e sono anche abbastanza fedele, non ho mai tradito in vita mia e soprattutto non mi piace e non mi è mai piaciuto bere. Non mi masturbo e non ho alcuna perversione in testa che superi aggiungere il miele nel latte già zuccherato, anzi, proprio tutto quello che la gente chiama feticismo è la cosa che più aborro nella meravigliosa unione fra due persone che si amano e che vede la sua completezza nella sua stessa semplicità. Potrei anche quasi essere fiero di me se non fosse che molto spesso sono uno sfacciato bugiardo».

In questo disco quanto c'è della tua esperienza di vita a Madrid?

«Tanto per cominciare Madrid è il posto dove ho cominciato ad arrangiarmi e anche se il brano ha visto la luce al mio ritorno in Italia, diciamo che "Buscavidas" è stato concepito a Madrid. L'album porta i rumori della città, i bar con le tapas schierate e le cameriere tatuate. Ogni volta che cambiavo casa facevo un giro nel circondario cercando il bar con la cameriera più bella da guardare, se posso prendere una birra perché non farlo davanti a un bel panorama! Ma non solo questo anche il punto di vista del bancone era ricco di esperienze, i vecchi che venivano a bere birra alle dieci del mattino mentre altri prendevano il loro caffè latte e la notte tutti quelli che passavano, ognuno a fare festa e mentre io e i miei colleghi sfornavamo pizze per gente che non la masticava neanche, oppure quelli con camicia cravatta e valigetta, li guardavo consumare mentre parlavano al telefono e li invidiavo, non sapevo che lavoro facessero ma volevo farlo anche io. Un anno dopo vendevo pannelli fotovoltaici, contratti luce e altra roba ecosostenibile con tanto di camicia valigetta e tante cazzate da dire al telefono. Madrid più che testi veri e propri mi ha regalato stati d'animo così al lavoro come a casa, pensa che proprio li ho vissuto l'ebbrezza della convivenza di coppia con tutte le cose belle e brutte che ci girano attorno, quindi quanto d'amore e d'odio riesci e decifrare fra i testi più o meno sono anche il frutto di questa, parecchie storie comprese».

Il tuo disco d'esordio è stato inserito nel lotto dei cinquanta finalisti del Premio Tenco nella categoria "Opera prima". Cosa ti ha fatto capire questo riconoscimento?

«Sai quando sono tornato dalla Spagna, come ti dicevo avevo lasciato tutto, il lavoro, una ragazza che amavo, la casa che avevamo scelto insieme, incluso una città che adoravo, non avevo più niente alle spalle e non avevo ancora niente davanti a me, quello che avevo erano gli sguardi incerti della mia famiglia che mi stava vedendo fare solo un'enorme cazzata. Puoi immaginarti come mi sentivo, nel bel mezzo del nulla. Ovvio che i dubbi assalivano anche me, in tutto questo la relazione che si andava esaurendo non aiutava, e i risparmi che avevo guadagnato a Madrid andavano finendo. Insomma i primi sei mesi qui a Palermo sono stati terribili, ma non sarei mai potuto tornare indietro e non lo volevo nemmeno. Quando le cose hanno cominciato a prendere forma e si sono visti i primi risultati mi sono guardato alle spalle e ho visto che il progetto che avevo stabilito stava proseguendo tappa dopo tappa, ho continuato a spingere fino ad adesso, ogni volta che prendo una mazzata capita sempre qualcos'altro che mi aiuta a rialzarmi e quella si chiama vita, perché "non c'è vento favorevole per chi non sa dove andare", si vede che questa è la rotta giusta. Come mi sento adesso? Orgoglioso come sempre, sono fiero del lavoro che abbiamo fatto almeno fino ad ora con Andrea, Mauro, Marco, Armando ed Ettore ed ora ci aspetta il "Tenco ascolta", altra splendida opportunità firmata club Tenco. Per il resto, ad maiora semper!».

Come capisci che una canzone è buona abbastanza per essere incisa?

«Non lo capisco, ne discuto con la band e se effettivamente è coerente con il concetto dell'album e gli arrangiamenti li riconosciamo soddisfacenti allora si può pensare di inserirla nell'album, ma l'ultima parola resta sempre quella del pubblico. Di solito mi fisso sulla reazione che ha la gente alle nostre canzoni e quello è un ottimo metro di giudizio».

Ti ricordi come hai iniziato a suonare?

«Certo! Ho cominciato facendo punk in un gruppo di provincia, all'epoca cantavo solamente o meglio gridavo come un dannato, ma almeno gridavo canzoni mie, poi mio fratello mi mise in mano una chitarra acustica e praticamente non l'ho più mollata, non ho mai familiarizzato con l'elettrica. Dopo presi a fare country riarrangiando in chiave acustica gli stessi pezzi punk. Cominciai a divertirmi con i versi nell'ultimo progetto "I Bardi" dove i brani venivano da un libro di poesie che avevo scritto e che musicammo con una band di ben nove elementi in chiave prog rock. Poi sono partito ed è cominciato il progetto da solista».

Ti consideri un cantautore?

«Beh! Mi sono sempre considerato prima di tutto un estimatore della vita e i suoi piaceri, quello che vedo e sento lo metto in versi perché sento mia questa forma di espressione. Canto e scrivo le mie canzoni, ho scelto di fare questa vita con le delusioni e le soddisfazioni, con le difficoltà che comporta avere questo come obiettivo. Oggi come oggi è dura essere presi sul serio, specie se sei all'inizio. Ma che ti aspetti? È giusto che sia così! Se vuoi essere preso sul serio devi lavorare seriamente, non fermarti mai, anche quando il mondo ti crolla addosso, sono in tanti quelli che aspettano soltanto di vederti abbassare la guardia, ma tu devi avere solo una cosa in mente e deve essere vedere dove ti porta quello che hai cominciato, come va a finire la tua storia, ma con la dignità di voler vedere sempre la faccia che vuoi allo specchio, e difendere con amore quello che ti senti di essere! Ebbene io sono Luca Burgio e sì, sono un cantautore».

Un po' di De André, un pizzico di Gaber, qualche riflesso di Capossela e Paolo Conte, e poi?

«Guarda hai centrato in pieno e me li hai nominati proprio tutti! Aggiungerei soltanto Mannarino e l'immancabile Tom Waits, ho preso a piene mani da tutti loro! Ma più in particolare questo disco parte da sonorità manouche, che ho sempre amato, e si arricchisce principalmente delle influenze classiche e folk della Maison Pigalle che ha saputo trovare il giusto equilibrio tra quanto distingue questi artisti e la loro unicità di gusto che ha reso "Vizi, peccati e debolezze" un album al momento abbastanza apprezzato».


Titolo: Vizi, peccati e debolezze
Artisti: Luca Burgio e Maison Pigalle
Etichetta: New Model Label
Anno di pubblicazione: 2016

Tracce
(testi e musiche di Luca Burgio)

01. 75 cl di brindisi
02. Satan's speech
03. La rondine e l'inverno
04. Il sordo
05. La sindrome di Dorian Gray
06. La cicala e la formica
07. Un bicchiere fra di noi
08. Un fegato in più
09. Buscavidas



mercoledì 26 ottobre 2016

"The Docks Dora Session" dei Fratelli Tabasco




Cinque ragazzi con una sfrenata passione per il blues, un locale dove il pubblico è in perfetta sintonia con la band e dove l’adrenalina scorre come le birre lungo il bancone, una manciata di canzoni originali che strizzano l’occhio ai vecchi classici. Ecco gli ingredienti che hanno dato vita a “The Docks Dora Session”, disco d’esordio dei Fratelli Tabasco, gruppo nato a Torino nel 2013. Dopo aver passato un intero anno in studio a produrre e perfezionare il repertorio, composto quasi esclusivamente da brani originali, i Fratelli Tabasco, gruppo di amici e non parenti come invece potrebbe far pensare il nome, hanno esordito live alla seconda edizione del Borgiallo Blues Festival. Gli impegni dal vivo sono proseguiti in modo incessante con partecipazioni a festival e rassegne in tutto il nord Italia e svariate apparizioni radiofoniche. Nel 2015 la svolta con il successo della settima edizione del concorso “Rock the Docks”, organizzato dalla Rainbow Music di Torino, che ha permesso al gruppo di registrare l'album “The Docks Dora Session”. La scelta di produrre un disco dal vivo calza a pennello con le caratteristiche del repertorio proposto dalla band: piccante e “peperonato”, come amano chiamarlo i Fratelli Tabasco. Chitarre, armonica, batteria e organo a creare una miscela che pesca nel repertorio dei grandi bluesmen del passato ed è arricchito da influenze rock, funky e soul. Le nove canzoni in scaletta non possono lasciare indifferente gli amanti del genere che si trovano di fronte ad un sound vigoroso, infuocato e travolgente. Chi è alla ricerca dell’originalità e della novità può passare oltre ma chi è amante del blues, dei Black Keys, del Ben Harper più sanguigno, dei Jon Spencer Blues Explosion e di R.L. Burnside può gustarsi questo piatto piccante e molto saporito. I Fratelli Tabasco sono Boris (voce e armonica), Joele (chitarra), Marco (basso), Simone (batteria), Lorenzo (tastiere) e quella che segue è l’intervista di presentazione del disco d’esordio.


Come mai avete scelto di esordire con un album live? Di solito il disco dal vivo arriva dopo almeno un paio di album in studio…

Joele Tabasco: «Abbiamo cercato di ricreare il più fedelmente possibile quello che ci riesce meglio: l'esibizione dal vivo. Le registrazioni sono state molto brevi, ma in realtà quest'album è il frutto di quasi due anni di prove assidue per migliorare sempre gli arrangiamenti e i testi. Il nostro scopo con "The Docks Dora Session" è di far trasparire fedelmente come può essere un nostro concerto».

Dove avete registrato il disco e quale è stata l'occasione per farlo?

Marco Tabasco: «Abbiamo avuto l'occasione di registrare il nostro primo album dopo aver vinto l'anno scorso il concorso "Rock the Docks" che metteva in palio la possibilità di registrare presso la Rainbow Music ai Docks Dora, mitici magazzini industriali dismessi e ormai punto dove si concentrano molte sale prova e studi di registrazione. Ad ogni modo ci siamo ritrovati di punto in bianco con l'opportunità di incidere un disco e non ci siamo fatti cogliere impreparati: avevamo già sufficienti canzoni nostre e l'idea di creare il nostro primo album proprio in quel posto di Torino ci ha entusiasmato. Ai Docks Dora sono legatissimo... e proprio lì ho fatto le mie prime prove in sala, e proprio lì ho conosciuto musicisti che ora sono miei cari amici ed è proprio lì che ho conosciuto Simone, che poco dopo mi ha introdotto a Boris e Joele e sono nati i Fratelli Tabasco. Insomma i Docks Dora sono un po' la mia seconda casa».

Devo dire che il disco suona veramente molto bene. Quanto tempo è stato necessario per preparare l'esibizione e la contemporanea registrazione in presa diretta?

Joele Tabasco: «In realtà la maggior parte del lavoro è stata fatta in un week-end. Volevamo fare qualcosa che ci sarebbe venuto semplice e abbiamo subito pensato a ricreare le atmosfere degli anni '50. Abbiamo cercato di registrare utilizzando il più possibile la nostra strumentazione per il semplice fatto che sapevamo come suonava e come utilizzarla al meglio. Per il pubblico abbiamo chiamato qualche nostro amico (anche perché nella sala non ci stavano tutti) per rendere l'atmosfera più rilassata possibile e... voilà! Abbiamo passato il sabato a registrare tutte le canzoni in presa diretta come se fosse un piccolo live e domenica i piccoli ritocchi. Il mixaggio è stato fatto nelle sere successive per aggiustare il tutto senza stravolgere il nostro sound».

Ci sono state sovraincisioni o elaborazioni in studio?

Boris Tabasco: «Sì, sono state fatte alcune sovraincisioni ma solo dell'armonica per una questione prettamente pratica: durante la presa diretta ci veniva difficile registrare al meglio sia la voce che l'armonica, poiché i take di prova fatti non risaltavano a dovere né la voce né l'armonica. Quindi è venuto istintivo concentrarsi prima su una parte e poi sull'altra».

Quali sono le difficoltà maggiori che avete incontrato a registrare un disco alla "buona la prima"?

Marco Tabasco: «L'organizzazione è stata fondamentale: ci siamo prefissati una data di uscita dell'album cercando di rispettarla il più possibile... e la parte delle registrazioni è solo una fetta di tutta la fase organizzativa: abbiamo pensato alle foto, alla grafica dell'album, alla diffusione nei canali digitali come Spotify, Google Play, Amazon, iTunes e molti altri, alla stampa del cd, ai video, al concerto di presentazione e ovviamente alle date successive. Insomma una volta usciti dallo studio di registrazione con il master definitivo è cominciato il vero lavoro».

Per il momento non abbiamo la controprova ma la situazione live calza a pennello con la vostra musica. Ora inevitabilmente dovrete chiudervi tra le quattro mura di uno studio, ci avete già pensato e cosa dobbiamo aspettarci?

Simone Tabasco: «Il lavoro in sala è costante e continuamente ci troviamo a modificare le canzoni o addirittura accantonarle per un po' per poi riprenderle in mano dopo qualche tempo e stravolgerla in un'altra chiave ritmica. Possiamo certamente dire che le idee per nuovi pezzi non mancano e le influenze di altri generi non ci spaventano. Per quanto riguarda il nostro prossimo disco non sappiamo ancora nulla di certo ma abbiamo già qualche linea guida che stiamo seguendo per costruire quello che sarà il nostro primo album in studio».

Qual è la vostra storia musicale?

Simone Tabasco: «Suoniamo tutti insieme in questo progetto soltanto da due anni e mezzo, ma la sensazione è quella di averlo sempre fatto insieme. Joele e Boris strimpellavano insieme già dai tempi del liceo sotto le guide di Luigi Tempera e Andrea "Rooster" Scagliarini, che li hanno cresciuti a forza di jam sessions. Io dopo alcuni anni tra studi jazz e concerti ska e punk mi sono lasciato rapire dal blues e, successivamente a un lungo periodo di gavetta, ho incontrato Marco proprio tra gli studi musicali dei Docks Dora. Da qui è iniziato un incredibile percorso artistico pieno di soddisfazioni».

Perché amate descrivere la vostra musica con l'aggettivo "peperonata"?

Marco Tabasco: «Dobbiamo questo aggettivo a un nostro grandissimo amico: Jos Griffioen! Jos, grande musicista e appassionato di blues, ci ha incontrati quasi per caso circa un anno fa e fin da subito si è innamorato del nostro sound, presentandolo quasi sempre prima dei nostri live come "peperonato" con il suo inconfondibile accento olandese. Non abbiamo potuto che riconoscere la sua efficacia, rende assolutamente l'immagine delle nostre atmosfere».

I nove brani che presentate nel disco sono tutti originali. Come sono nati e chi di voi ha avuto maggiore peso nella fase creativa?

Boris Tabasco: «Diciamo che nella fase di nascita dei brani ho un po' più di peso io, ma che in definitiva per la parte musicale e compositiva ognuno gioca un ruolo fondamentale. Quando uno di noi ha un'idea per una nuova canzone non pensa mai soltanto a se stesso, ma è consapevole del fatto che la suoneranno con lui i suoi fratelli, quindi scriviamo testi che rappresentino esperienze vicine a tutti e di cui discutiamo. Questo perché mentre arrangiamo e poi suoniamo ognuno di noi deve potersi riconoscere ed esprimersi con onestà».

Di cosa parlano le vostre canzoni?

Joele Tabasco: «Le nostre canzoni sono i nostri blues. Tutti noi abbiamo necessità di raccontare il nostro tempo e di dare la nostra visione a chi ci ascolta, anche affrontando temi importanti. Trattandosi di blues è difficile dire di cosa non parliamo, perché di fatto il blues parla della vita nel suo complesso, con tutti i problemi, i bei momenti e le strane situazioni che capitano. Per adesso parliamo poco d'amore, preferiamo descrivere storie di personaggi improbabili e usarli per affrontare temi più o meno seri».

Quale canzone rappresenta al meglio l'essenza del gruppo?

Boris Tabasco: «Penso subito a "Blues On!". Non è il nostro cavallo di battaglia, ma a livello lirico potrebbe essere davvero stata scritta da chiunque di noi. È un po' il nostro biglietto da visita musicale perché parla dei nostri luoghi, della voglia di far viaggiare la nostra musica per il mondo e di condividerla con tutto l'entusiasmo possibile».

A questo punto ditemi, quali sono i musicisti che vi hanno maggiormente influenzato?

Joele Tabasco: «Per quanto riguarda la musica blues siamo partiti ascoltando i più famosi come Muddy Waters e Stevie Ray Vaughan e poi sempre di più andando a scovare quelli un po' più di nicchia. Abbiamo avuto anche maestri di blues al nostro fianco che ci hanno guidato ed insegnato il genere tra jam session, lezioni e concerti: come Luigi Tempera e Andrea Scagliarini. Ma ad oggi il nostro suono, quello che si può sentire nel nostro disco, è frutto di influenze di artisti come Black Keys, Ben Harper e R.L. Burnside».

Nella Torino postindustriale quanto blues si respira oggi?

Boris Tabasco: «La scena blues a Torino è molto vivace e piena di artisti affermati e anche qualche emergente. È ormai facile trovare molte serate dedicate a jam session, che è un po' la vera palestra per suonare blues: dove i più esperti condividono il palco con i giovani o i curiosi che si avvicinano al genere. Inoltre i locali continuano a promuovere gli artisti locali alternati a qualche ospite nazionale e non. La scena non si ferma solo a Torino ma si estende anche in provincia, dove in estate prendono piede festival dove è possibile incontrare artisti e scambiare quattro chiacchiere».


Titolo: The Docks Dora Session
Gruppo: Fratelli Tabasco
Etichetta: New Model Label
Anno di pubblicazione: 2016

Tracce
(testi e musiche di Fratelli Tabasco)

01. Radioactive mama
02. Ask yourself
03. Up all night
04. Harmonic drive
05. Same damned shame
06. Jack knife
07. Blues on!
08. D.Q.T.H.L.
09. Boris' boogie