martedì 7 novembre 2017

I Rebis cantano il Mediterraneo senza frontiere





L'estate mi ha regalato tantissime occasioni di assistere a concerti dal vivo di band e cantautori emergenti come di artisti affermati della scena italiana e internazionale. Ma tutto questo è solo un bel ricordo, torno volentieri quindi al lavoro che avevo imbastito prima della pausa estiva e con piacere presento il nuovo disco dei Rebis, duo musicale che nel frattempo, proprio in questi mesi, lo è diventato anche nella vita. Alessandra Ravizza e Andrea Megliola hanno pubblicato il loro secondo disco, intitolato "Qui". Si tratta di undici canzoni cantante in italiano, arabo e francese che hanno come protagonista le donne e le loro storie. Storie e racconti, a volte anche sofferti e crudi, che fanno la spola da una parte all'altra del Mediterraneo, in un continuo andirivieri senza barriere e steccati. Un tentativo di unire il mondo e in particolare le culture del nostro mare che era già presente nel precedente "Naufragati nel deserto" e che diventa ancora più pressante in questo ultimo lavoro. Per dare corpo alle canzoni i Rebis si sono avvalsi della collaborazione di un manipolo di musicisti di grande affidabilità come Edmondo Romano che con classe ha "soffiato" in tutti gli strumenti possibili, dal clarinetto al mizmar, dal sassofono al santur e allo shanay, il violoncellista Salah Namek, Matteo Rebora alle percussioni, Emanuele Milletti e Kai Kundrat al basso, Roberto Piga al violino, Julyo Fortunato alla fisarmonica, Marco Spiccio al piano. Senza dimenticare l'inserto rap in inglese di Natty Scotty nel brano "Ma maison".
"Qui" è disco che non va giudicato o capito al primo ascolto. Le canzoni, le atmosfere, i colori e le sfumature hanno necessità di depositarsi per essere apprezzate appieno. Ma una volta entrati in questo ambiente musicale non si può che rimanerne affascinati. E magari stimolati ad aprire le porte verso ciò che culturalmente ci è distante.
Con Alessandra abbiamo approfondito il discorso facendo un piccolo viaggio tra le pieghe di "Qui".


In una epoca in cui si parla di muri e frontiere voi abbattete qualsiasi ostacolo musicale o linguistico. "Qui", il vostro secondo album, è completamente calato nella cultura mediterranea…

«Crediamo che la musica e l'arte in generale possano riportare un po' di empatia e di umanità nei cuori delle persone. Persone divise da muri, odio e paure. Abbiamo viaggiato tanto tra le sponde del Mediterraneo e continueremo a farlo perché la nostra identità è profondamente radicata in una storia e in un futuro comuni. È una visione molto miope quella dei muri: bisogna costruire insieme il nostro futuro, è la migliore risposta alla violenza dilagante che caratterizza il nostro tempo radicalizzato. Il terrorismo nei confronti dei civili e la violenza degli stati verso i più poveri e/o i "diversi" non sono una risposta per un futuro migliore ma sono i semi per un presente ancora più ingiusto e violento».

Italiano, francese, arabo… Lingue che si intrecciano e che raccontano cosa?

«Raccontano storie di persone che cercano il loro "posto" nel mondo. Un posto non soltanto fisico ma anche interiore, un posto nel quale poter seguire i nostri sogni e vivere i nostri affetti, un posto nel quale sentirsi sicuri e potenti. Si tratta di un disco al femminile, le protagoniste delle nostre canzoni sono soprattutto donne. Una cara amica antropologa mi ha fatto notare che "Qui" è un continuo dialogo e che le nostre protagoniste cercano loro stesse nel confronto con l'altro. "Qui" è un disco molto politico che parla di scelte autentiche, di persone che hanno scelto un amore libero e paritario, di sorelle separate dal mare, di persone in esilio, di donne più forti della morte, di bambine che parlano con gli animali e che, una volta donne, si rifiutano di sfruttarli ed opprimerli».

Dove è questo "Qui"? Lo possiamo trovare nella vostra Genova o in un villaggio sperduto nel Maghreb?

«Ognuno ha il suo "qui". Può essere un luogo fisico ma noi lo viviamo più come uno spazio interiore nel quale poter fiorire e dare frutti. Se dovessi dare delle coordinate spaziali al nostro "qui" musicale ti direi che si tratta di una città immaginaria sospesa tra il Sud dell'Europa ed il Nord dell'Africa. Affacciata sul mare ma non troppo distante da montagne e deserti».

Cosa vi affascina delle culture mediterranee e in particolare di quella araba?

«È molto difficile per noi immaginare una "cultura araba" o "mediterranea" in quanto i singoli paesi e le singole regioni sono tutte molto diverse tra loro. Detto ciò c'è qualcosa che ci fa sentire a casa, forse sono i secoli di storia che intrecciano lingue, popoli, canzoni, poesie, cibi, onde, guerre e amori».

A rendere ancora più cosmopolita la vostra musica avete inserito anche un po' di rap in lingua inglese del cantante nigeriano Natty Scotty. Qual è l'idea di questa collaborazione?

«Abbiamo conosciuto Scotty grazie ad un'amica volontaria del centro richiedenti asilo in cui tutt'ora alloggia. Era arrivato da poco dalla Nigeria e cercava musicisti con i quali portare avanti la sua carriera di cantante e il suo operato di attivista per i diritti umani. Benché noi non fossimo grandi esperti di rap e di hip hop ci colpirono il calore della sua voce e l'impegno civile dei suoi testi. In quei giorni con Andrea stavamo lavorando alla composizione dell'ultima canzone del disco ("Ma maison"): una canzone che gira intorno al concetto di casa inteso come un luogo all'interno del quale poter tradurre in realtà i propri sogni e valori, in cui sentirsi protetti e dal quale aprirsi al mondo. Abbiamo capito subito che Scotty avrebbe avuto molto da dire e da cantare a riguardo e non ci sbagliavamo».

Si parlava di collaborazione e mi viene da citare il nome di musicisti eccelsi come Edmondo Romano, Matteo Rebora e il violoncellista siriano Salah Namek che nel disco hanno svolto un lavoro di primissimo piano…

«Abbiamo impiegato diversi anni per scegliere (e per incontrare) i musicisti che ci hanno affiancato nella realizzazione di questo nuovo disco e devo dire che la nostra ricerca ha portato a un risultato che ha superato di gran lunga le nostre aspettative. Ognuno di loro ha portato la sua storia, la sua sensibilità, la sua professionalità, dimostrando una grande partecipazione e generosità nei confronti della nostra musica. Edmondo Romano ha registrato dodici strumenti diversi (sassofono, clarinetti, flauti, mizmar, furulya, shanay, mohozeno, zurna, santur, chalumeau, low whistle) e ha portato nelle nostre canzoni un suono personale, raffinato e ricco. Matteo Rebora ha fatto un profondo lavoro di ricerca, ideando un set percussivo composto da cassa, piatti e da sedici strumenti tradizionali di origine araba, turca, persiana e indiana, capace di dare vita a un suono di confine tra le ritmiche e le sonorità tradizionali arabe e mediorientali e il pop colto occidentale. Salah Namek, con il suo violoncello, ha portato nella nostra musica la sua profonda conoscenza della musica classica araba orientale. Salah è infatti uno dei più grandi musicisti siriani ed è originario di Aleppo: città che viene considerata la capitale della musica araba orientale. Edmondo, Matteo, Scotty e Salah non sono i soli musicisti che hanno collaborato con noi a "Qui". Nel disco hanno suonato anche il bassista Emanuele Milletti che ha arricchito il nostro disco di sensibilità e armonia, il bassista tedesco Kai Kundrat (attualmente residente in Brasile), il grande Roberto Piga ai violini, il maestro Marco Spiccio al pianoforte e il giovane e talentuosissimo Julyo Fortunato alla fisarmonica».

Il mondo arabo, e in particolare la letteratura, hanno ancora un ruolo fondamentale nella vostra scrittura. In "Partoriscimi di nuovo" citate i versi di una poesia dello scrittore palestinese Mahmoud Darwish…

«Assolutamente sì, Mahmoud Darwish è per noi un maestro di vita e non solo di scrittura. Nelle sue poesie respira l'umanità intera. Ogni volta che leggo una sua poesia sento di fare un passo in più verso la mia umanità. Ho avuto l'onore di studiare con Lucy Ladikoff: docente di lingua araba presso l'università di Genova, originaria di Gaza, amica intima di Mahmoud Darwish del quale ha pubblicato diverse raccolte di poesie tradotte in lingua italiana (non posso non citare "Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine?"). Lucy mi ha adottata come una figlia e un giorno mi ha regalato la traduzione inedita di "Partoriscimi di nuovo", invitandomi a musicarla e a cantarla. È iniziato così un lungo lavoro di confronto tra me e Andrea che ha portato alla nascita di questa canzone alla quale siamo davvero molto legati e cha parla di esilio, di amore per la terra, per la madre: "partoriscimi di nuovo, partoriscimi per sapere in quale terra morirò ed in quale terra rinascerò…"».

Altro episodio è "Goodbye Amal" che è ispirato al romanzo "Ogni mattina a Jenin" della scrittrice Susan Abulhawa…

«Consiglio a tutti di leggere "Ogni mattina a Jenin" (Feltrinelli), è un libro che apre il cuore e che racconta cent'anni di storia palestinese vista dagli occhi delle donne. Qualche anno fa ci avevano contattato da Roma per partecipare ad un reading mondiale organizzato da un'associazione statunitense che si occupa di attivismo e letteratura. In teoria non avremmo dovuto suonare in quell'occasione, ma subito dopo aver letto il libro, mi è venuto spontaneo scrivere questa canzone che ha subito convinto anche Andrea ed è senza dubbio uno dei brani più amati da noi e dal nostro pubblico. Spesso riceviamo mail di ringraziamento di persone che dopo aver ascoltato la canzone hanno acquistato e letto il libro di Susan Abulhawa e questo ci riempie di gioia».

Per quanto riguarda i testi la figura femminile è predominante. Da questo spunto vi chiedo quale secondo voi debba essere il ruolo della donna delle culture mediterranee nei prossimi decenni.

«Abbiamo scelto come protagoniste delle nostre canzoni figure femminili perché crediamo moltissimo nell'importanza del protagonismo femminile e nella collaborazione tra donne per un mondo più giusto. Dico questo non perché crediamo che le donne siano migliori degli uomini ma perché si parla ancora troppo poco al femminile e sappiamo quanto risulti  più difficile per una donna esporsi e raccontarsi (anche nel mondo dell'arte). Crediamo nella necessità di una rivoluzione culturale che liberi le donne e gli uomini dal maschilismo ancora molto presente nelle nostre società sotto forma di violenza e di dogmi culturali molto difficili da estirpare. Lo scorso anno abbiamo inaugurato con la nostra musica il Festival Chouftouhonna (Festival internazionale d'arte femminista di Tunisi) e abbiamo avuto modo di confrontarci con artiste, attiviste e giornaliste di tutto il mondo. Questa esperienza ci ha donato molta forza e ci ha liberato come individui e come coppia, si è creata una comunità di sorelle sparse per il mondo con le quali ci sosteniamo e ci confrontiamo a distanza. La frase ispiratrice del festival era: "Troppe donne, in troppi paesi del mondo parlano una sola lingua: il silenzio". Tornati in Italia abbiamo capito che il nostro sentire corrispondeva a quello di tantissime altre artiste, che non stavamo agendo da soli ed è anche grazie a questi incontri che è nato il nostro ultimo disco "Qui"».

Secondo voi l'arte, e in particolare la musica, può essere un veicolo per far avvicinare il mondo arabo e quello europeo?

«Credo che lo strumento più importante per un cambiamento profondo e autentico dell'umanità sia l'empatia. Se l'arte lavora sull'empatia credo possa essere un buon mezzo per avvicinare le persone anche se non può essere l'unico. Ci vorrebbero anche precise scelte politiche volte ad avvicinare le persone, a farle incontrare e conoscere e bisognerebbe soprattutto rompere le catene dello sfruttamento e dell'ingiustizia da una parte e dall'altra del Mediterraneo».

Qual è il target delle persone che viene ad ascoltarvi dal vivo?

«È molto difficile definire un target del nostro pubblico in quanto dipende moltissimo dai contesti in cui ci ritroviamo a suonare. In media però posso dire che in Italia come all'estero attiriamo spessissimo persone in ricerca e in viaggio. A volte si tratta di persone molto sofferenti che si stanno cercando e che trovano sollievo e speranza nelle nostre parole e nelle nostre note, a volte persone che hanno iniziato un percorso di consapevolezza politico e/o spirituale che ritrovano nella nostra musica i loro valori e la loro visione del mondo oltre al piacere delle note. Poi ci sono coloro che vengono colpiti dalla mia voce, dalla chitarra di Andrea e dalla bravura dei nostri musicisti. Devo dire che queste sono le categorie principali di coloro che entrano in contatto con noi anche dopo i concerti e che ci ha permesso di veder crescere con il tempo una specie di famiglia allargata sparsa per il mondo».

Potete suggerirci delle realtà musicali arabe da seguire?

«Certamente! Ritornando alla poesia di Mahmoud Darwish non posso non segnalarvi Marcel Khalife: compositore e musicista libanese che ha trasportato in musica tantissime poesie di Mahmoud Darwish. Forse il suo disco che ho amato di più è "Suqut al-­-qamar" (la caduta della luna). Restando in Libano non posso non citare Fayrouz e Majida el-­-Roumi. Parlando di voci femminili consiglio anche la grande Julya Boutrus (Libano), Souad Massi (Algeria), Amel Mathoulothi (Tunisia), Lena Chamamyan (Siria), Yasmine Hamdan (Libano). Pensando a voci maschili contemporanee mi viene subito in mente il talentuosissimo cantautore Sabri Mosbah (Tunisia) e il gruppo rock‐indie libanese Mashrou' Leila ma anche qualcosa di più datato come il rai di Rachid Taha, Cheb Khaled, Cheb Mami. Per chi fosse interessato a una visione aggiornata sulla musica araba contemporanea consiglio di seguire la pagina Note d'Oriente: https://www.facebook.com/NotedOriente/».


Titolo: Qui
Gruppo: Rebis
Etichetta: Gutenberg Music / Produzioni Musicali Primigenia
Anno di pubblicazione: 2016

Tracce
(testi e musiche di Alessandra Ravizza e Andrea Megliola, eccetto dove diversamente indicato)


01. Vincimi con i tuoi occhi
02. Je reviendrai en automne
03. Qui
04. Ma maison  [testo in inglese e benin di Natty Scotty]
05. Goodbye Amal
06. Partoriscimi di nuovo
07. Wadi nostalgie
08. Cercami nel mare
09. Da bambina
10. Adrienne
11. Pioggia fine




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